Unica Umbria

Storia & Storie

La civiltà degli Antichi Umbri all’origine di Roma

Diario di viaggio
Autore: Ancillotti, Augusto

Le Tavole di Gubbio sono una finestra aperta sulla civiltà degli Antichi Umbri. Un mondo lontano che è all’origine della cultura di Roma. Oggi sappiamo che quei testi impressi sul bronzo sono copie di archetipi antichissimi in cui affondano le radici delle culture “safine” della penisola italiana, all’inizio dell’età del ferro (Sabini, Umbri, Piceni, Sanniti, ecc.).

Le Tavole eugubine sono sette tavole bronzee rinvenute nel XV secolo nel territorio dell’antica Iguvium (Gubbio), sulle quali è iscritto un testo in umbro, relativo a complessi cerimoniali di lustrazione ed espiazione della città. Le tavole sono attualmente sono conservate nella cappella del Palazzo dei Consoli a Gubbio (Nella foto: Tavola I, facciata A)

Nonostante la tradizione imperni sulla figura di Romolo la fondazione della grande città, c’è un dato di fatto: Roma non porta avanti la cultura delle bande di avventurieri che accompagnavano Romolo e Remo, ma quella delle genti sabine, e quindi safine, che già vivevano in riva al Tevere.

Questa affermazione è in linea con la tradizione che vuole il re sabino Tito Tazio accanto a Romolo e fonda anche le famiglie romane sulla leggenda del “ratto delle Sabine”. Non solo: affida al re sabino Numa Pompilio tutto l’impianto civile e religioso della comunità romana.

Leggiamo in Plutarco, Vita di Numa, 17.3: “Numa distribuì i cittadini secondo le arti e i mestieri … e poi istituì delle adunanze collettive e delle assemblee pubbliche, dei riti e delle funzioni religiose proprie di ognuna di quelle categorie. E in questo modo egli bandì dalla città la pratica di parlare e pensare di alcuni cittadini come Sabini e di altri come Romani, o di alcuni come sudditi di Tazio e di altri come sudditi di Romolo, tanto che alla fine la sua organizzazione risultò come una armoniosa fusione di tutti loro insieme.”

Ecco perché il mondo culturale dei Sabini risulta sostanzialmente lo stesso che si esprime nella Tavole Eugubine: entrambi affondano le loro radici nella tradizione safina preromana.

Non è difficile rilevare delle coincidenze significative tra la cultura della Roma delle origini e quella che si esprime nelle Tavole.

Ricordiamo a questo proposito il collegio dei pontefici. Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II, 73,1 scrive che i pontefici istituiti da Numa Pompilio erano cinque, e che tali rimasero fino all’anno 300 a.C.

E nella III Tavola si legge: “Poi i confratelli presentino alle unità quinarie (ponti) elette il magistrato in capo; (lo faccia) chi dei confratelli si troverà nel luogo dell’assemblea secondo le regole. Quindi il magistrato si sieda sulla pietra nella sede dell’assemblea. Il magistrato proclami che le unità quinarie (ponti) devono procurare un porcellino e una pecora. Allora le unità quinarie (ponti) elette tra i confratelli scelgano il porcellino e la pecora.”

Nella lingua delle Tavole di Gubbio, accanto al termine ponti, “cinquina, unità quinaria”, doveva esistere il pont-eks o ponti-eks, che indicava “il pontico”, il membro della cinquina. Lo si ricava dall’esistenza del termine fratr-eks, “il fratrico”, il membro della fratellanza, più volte citato nelle Tavole.
Ebbene, a Roma Numa porta l’istituto sabino dei cinque pontici, ognuno dei quali era un pontieks. Non ci volle molto perché i Romani reinterpretassero il termine pontieks come pontifex, intendendolo come colui che istituisce il ponte fra la comunità e la divinità.

Rilievo di vestale con i “seni crines”, elaborata acconciatura a trecce nella quale i capelli erano portati attorcigliati sul capo e sormontati da un’infula (benda sacra) attorcigliata in più spire. Opera romana di età adrianea (117-138). Roma, Antiquario del Palatino

Un altro istituto condiviso da Gubbio e da Roma è quello delle Vestali.
Dalla lettura affiancata di alcuni passi delle Tavole ricaviamo che nei sacrifici pubblici si usava il ranu, “ranno”: qualcosa che si fa sul posto utilizzando il sale, e che non può essere altro che quella salamoia, composta d’acqua e sale, che a Roma è preparata dalle Vestali: la muries.

Altra significativa osservazione discende dall’accostamento dei numerosi passi delle Tavole che prescrivono l’uso del fuoco per i sacrifici: un fuoco che non si può accendere ex novo sul luogo prescelto, ma che deve essere portato sul luogo della cerimonia attingendo le fiamme da un altro fuoco. Quale altro fuoco, se non quello sacro che simboleggia la casa comune? Anche questo importante indizio lascia intendere che, benché le Tavole non le nominino, le vestali erano in funzione anche a Iguvium.

Del resto, dalla tradizione antiquaristica romana abbiamo l’indicazione dell’esistenza del collegio delle vestali presso le genti italiche, anche prima che Numa lo istituisse a Roma.
Si tenga presente che la voce vesta, glottologicamente non designava una dea (come sarà poi in epoca storica, per l’influenza del modello greco), ma “l’insediamento, l’abitato”.
Anche il rito dell’augurazione, con cui si doveva accertare la disposizione positiva della divinità, è lo stesso sia Gubbio che a Roma.

Nella Tavola VI si legge: “Colui che sarà andato a rilevare i messaggi augurali, stando seduto, dal capanno così si rivolga all’officiante: “Stipula (con la Divinità) che io osservi l’upupa e la cornacchia da destra, il picchio e la gazza da sinistra: gli uccelli giusti e i richiami giusti in quanto divini”.”

E nella Tavola I è scritto: “Questa cerimonia (l’officiante) la inizi dopo aver rilevato gli uccelli, quelli di fronte e quelli alle spalle.”

Appare evidente che nella rilevazione dei richiami degli uccelli augurali l’officiante (colui che ha la capacità di stipulare il patto con la divinità) e l’augure (che svolge il compito di orecchio e occhio dell’officiante) devono disporsi reciprocamente ad angolo retto, in modo che gli uccelli scorrano fronte ↔ retro per l’officiante, e destra ↔ sinistra per l’augure, il quale deve osservare in prospettiva l’abitato.

Poiché l’antica Iguvium era sicuramente posta appena sopra l’attuale Via dei Consoli, che ne segnava il limite inferiore, fuori del quale erano dislocate le sepolture di età protovillanoviana recentemente scoperte, esiste una sola possibilità di posizionamento della coppia “officiante-augure”, in modo che l’augure possa osservare l’abitato appena al di sopra dei “tetti”: il luogo delle rocce a mezza costa del monte Foce, quelle che il testo definisce “rocce augurali”.

Un auguro dichiara Numa Pompilio re dopo l’oracolo del volo degli uccelli. Numa, con il volto coperto, viene dichiarato re dall’auguro, che osserva il volo degli uccelli (incisione di Bernhard Rode, 1768-69)

In Livio 1.18 si legge come Numa si fece “inaugurare” sullo sfondo dell’abitato di Roma.

L’augure accompagna Numa sull’arce, lo fa sedere su un sedile di pietra, rivolto a sud (deductus in arcem, in lapide ad meridiem versus consedit). L’augure prende posto alla sinistra di Numa (cioè verso est), rivolge la sua vista verso la città e il territorio (che quindi è a est), definisce le direzioni da est a ovest, e dichiara che le zone a destra sono a sud e quelle a sinistra sono a nord [regiones ab oriente ad occasum determinavit, dextras ad meridiem partes, laevas ad septentrionem esse dixit]; quindi fissa mentalmente davanti a sé il punto più lontano a cui possa giungere con lo sguardo, e infine pone la mano destra sul capo di Numa e prega: “O Giove padre, se è destino che costui, Numa Pompilio di cui io tocco la testa, sia re di Roma, dacci dei segni manifesti entro i confini che io ho tracciato”.

Poi enuncia verbalmente gli auspici che vuole siano inviati. E una volta apparsi gli auspici, Numa è dichiarato re, e può scendere dal colle augurale.

Da quanto precede è evidente che a Roma e a Iguvium si svolgevano riti del tutto identici, sia come forme esterne sia, soprattutto, come ideologia costitutiva del rito stesso. E se in Livio non è esplicitato quali fossero gli uccelli considerati augurali a Roma, l’informazione ci arriva da Plauto, che in Asinaria 249-251 scrive: impetritum, inauguratumst: quouis admittunt aues, picus et cornix ab laeua, coruos, parra ab dextera consuadent … “Dunque è deciso, confermato dall’augurio: dovunque lo affermano gli uccelli, lo assicurano il picchio e la gazza da sinistra, il corvo e l’upupa da destra …”. Gli stessi uccelli, nelle stesse posizioni racconate dalle Tavole di Gubbio.

Augusto Ancillotti