Unica Umbria

Storia & Storie

Le stupefacenti maioliche del Museo Opificio Rubboli

Diario di viaggio
Autore: Mossone, Alberto

L’ultimo esempio rimasto al mondo di forno a muffola per il lustro si può visitare a Gualdo Tadino, nel Museo Opificio Rubboli, un struttura unica nel suo genere. Un museo “vivo”, perché ancora oggi l’ultimo erede della famiglia, Maurizio Tittarelli Rubboli, continua, nello stesso luogo dei suoi avi, la produzione di pregiati manufatti utilizzando i forni costruiti dal capostipite Paolo Rubboli nel 1878.

Il museo ospita un’importante collezione di maioliche che vanno dal 1878 agli anni Sessanta del Novecento, oltre ad alcune opere significative di altre importanti manifatture ceramiche dello stesso periodo.

Il percorso museale comprende quattro stanze che corrispondono alle fasi produttive della manifattura e il locale delle muffole: sono antichi forni, risalenti al 1884 e utilizzati per ottenere, mediante una terza cottura con fumo di ginestra, i lustri oro e rubino.

Le muffole della Rubboli sono identiche a quelle illustrate da Cipriano Piccolpasso nel suo celebre trattato “Li tre libri dell’arte del vasaio” del 1558. Secondo lo studioso inglese Alan Caiger-Smith, considerato il principale esperto della tecnica a lustro, «il forno a muffola dei Rubboli, progettato da Paolo Rubboli intorno al 1870, è una versione modificata di quello di Mastrogiorgio da Gubbio. Probabilmente si tratta dell’unico esempio di questo tipo di forno per il lustro rimasto al mondo».

La  tecnica del lustro nel campo della maiolica si sviluppò in Italia nel periodo del Rinascimento e Deruta e Gubbio conquistarono una notevole fama. Una ripresa di questa tecnica si ebbe poi proprio in Umbria alla fine dell’800 e nei primi anni del ‘900. E Paolo Rubboli ne fu il principale protagonista. Le quattro sale del museo raccontano un’affascinante vicenda imprenditoriale.

SALA DELLA FOGGIATURA La manifattura Rubboli è totalmente identificabile con la maiolica a lustro oro e rubino. Paolo Rubboli, il capostipite di questa tradizione, nacque a Fiorenzuola di Focara, in provincia di Pesaro, il 15 dicembre 1838. La sua presenza è documentata a Gualdo Tadino fin dal 1875. Lavorava presso l’opificio voluto dal ricco e colto antiquario piemontese Marcello Galli-Dunn che aveva scelto Gualdo Tadino per produrre Maioliche Artistiche uso Urbino Faenza e Gubbio. La fabbrica trovò la sua sede nei locali dell’ex-convento di San Francesco.

Qui nel 1878, conclusa l’esperienza con il Galli-Dunn, Paolo Rubboli impiantò un proprio laboratorio, coadiuvato dalla moglie Daria Vecchi. Insieme iniziarono la produzione di pregiate maioliche a lustro mastrogiorgesco, di tipologia storicista, in linea con un atteggiamento piuttosto diffuso nell’artigianato artistico dell’Ottocento.

Dai locali di San Francesco, nel 1883, l’opificio viene spostato presso l’ex-convento di San Nicolò per poi essere impiantato definitivamente, nelle stanze di questo museo, l’anno seguente. Paolo Rubboli morì l’11 maggio 1890, un anno dopo la morte del primo figlio Alessandro, di 24 anni, citato nei documenti come pittore.

In questa sezione sono ospitati anche alcuni esemplari di maioliche a lustro prodotte dalla manifattura Ginori, da Cesare Miliani e da Achille Farina.

Piatto a lustro

 

SALA DELLA FORMATURA Dopo la morte di Paolo Rubboli, sua moglie Daria diresse l’azienda per circa un trentennio, in un periodo storico nel quale la qualità della maiolica a lustro aveva già raggiunto esiti tecnici considerevoli. Ne è prova la Medaglia d’Oro per la Ceramica Iridata che le venne conferita all’Esposizione Generale Umbra del 1899.

Nei manufatti risalenti a questo periodo è possibile rintracciare alcuni caratteri distintivi, come la dominante azzurrina piuttosto diluita del fondo, che spesso assume un tono blu intenso nelle tese dei piatti.

Nonostante l’intento decorativo risulti centrale e la complessità compositiva evidente, l’effetto generale è quello di un rigore formale e di una sobrietà stilistica di sapore classico che trova ampio riscontro nell’interpretazione pura ed essenziale del primo storicismo.

Daria morì il 22 febbraio del 1929 quando già da nove anni la ditta Rubboli era parte della Società Ceramica Umbra che nei manifesti funebri la ricordò come la “Maestra del Terzo Fuoco”.

In questa sezione sono ospitati anche alcuni esempi di maioliche a lustro prodotte da Ulisse Cantagalli, William de Morgan e Galileo Chini.

Piatto da parata

SALA DELLA FORNACE La manifattura Rubboli entrò nella Società Ceramica Umbra nel luglio del 1920, quando i figli di Daria, Lorenzo (1884-1943) ed Alberto (1888-1975), erano già attivi nella ditta da più di un decennio. Nello stesso anno venne aperta una succursale anche a Gubbio che però ebbe breve durata.

La produzione di questi anni fu una delle più originali nel lungo percorso artistico della Rubboli, per il tentativo di emanciparsi stilisticamente dalla tradizione dello storicismo, priva ormai della vitalità e tensione ideale che aveva assunto nell’Ottocento.

La nuova cifra stilistica  e il diverso assetto organizzativo si devono, rispettivamente ad Aldo Ajò come artista e all’imprenditore Giuseppe Baduel, responsabili di un orientamento inedito nella maiolica a lustro che riuscì ad espandere sorprendentemente le possibilità decorative ed espressive del terzo fuoco.

La manifattura Rubboli lasciò la Società Ceramica Umbra nel 1931 a causa di una crisi sensibile del settore ceramico che coinvolse molte manifatture italiane nei primi anni Trenta. Si chiuse così un capitolo breve ma importante per la storia dell’opificio Rubboli che continuerà a operare sotto la conduzione dei fratelli Lorenzo ed Alberto. In questa sezione è visibile anche un’opera della Salamandra di Perugia attribuita a Davide Fabbri.

SALA DELLA SMALTATURA Dopo la chiusura della Società Ceramica Umbra nel 1931, Lorenzo ed Alberto continuarono l’attività per qualche anno. Ma nel 1936 si separarono.

Le due ditte Lorenzo Rubboli e Alberto Rubboli, sulla scia dell’esperienza della SCU, rimasero legate alla tradizione e produssero manufatti a lustro oro e rubino di grande pregio. In qualche tentativo isolato, ma ben riuscito, si riscontra un legame con le nuove tendenze artistiche, con un  uso disinvolto e virtuoso della tecnica del lustro.

Dopo la morte di Lorenzo nel 1943 saranno le tre figlie Livia, Gina e Ivana a portare avanti la tradizione fino al 1955, anno in cui la ditta Lorenzo Rubboli venne chiusa.

Alberto invece continuerà ad operare fino al 1975, anno della sua morte, passando il testimone alle figlie Laura e Edda e poi ai suoi nipoti che proseguiranno fino al 2002. Emblematico, per capire l’orientamento stilistico di questi anni, è il Piatto del Centenario, dove Alberto Rubboli scrisse il motto a lustro rubino «Immotus in Motu»: fermo nel movimento.

La presenza esigua di opere pertinenti ad Alberto Rubboli nella collezione, rispetto al numero più consistente di quelle di Lorenzo, è dovuta al carattere della raccolta creata da Maurizio Tittarelli Rubboli, erede di Lorenzo, attraverso la madre Gina.

In questa sezione sono visibili alcune opere realizzate da Alan Caiger-Smith prima della chiusura del suo laboratorio di Aldermaston.

Nel museo si possono ammirare,  nell’apposita sezione di Tradizione Contemporanea, altri eccellenti lavori a lustro progettati da alcuni designer italiani e realizzati dalla Rubboli in occasione della Triennale della Ceramica d’Arte Contemporanea di Gualdo Tadino del 2009.

SALA DEL RIVERBERO Paolo Rubboli ricostruì i forni a muffola per il terzo fuoco nel 1884, quando la manifattura Rubboli si trasferì in questo luogo, dopo aver operato negli ex conventi di San Francesco e San Nicolò.

I forni ottocenteschi sono una copia fedele di quelli illustrati da Cipriano Piccolpasso nel 1558. Erano progettati per ottenere i lustri oro e rubino in terza cottura bruciando fascine di ginestra per creare un’atmosfera riducente all’interno del forno.

Nel trattato “Li tre libri dell’arte del vasaio” del Piccolpasso si legge:

«Le sue legnie siano palli, o vogliam rame di salci, ben seche e sciutte. Con queste si facci tre ore di fuoco; il che fatto, che già la fornace comincierà a mostrare un non so che del chiaro, allora habbiansi ginestre o vogliam spartio, como reccita Discoride, ben seche e stagionate, e, lassato le salice, facciasegli un’ora di fuoco di queste».

Gli ultimi forni e le antiche ricette degli impasti oro e rubino di Paolo Rubboli, costituiscono un’importante eredità culturale, un prezioso patrimonio che l’Associazione Culturale Rubboli, creata da Maurizio Tittarelli Rubboli e Marinella Caputo nel 2007, ha cercato di salvaguardare e divulgare promuovendo il recupero dell’opificio e la sua trasformazione in museo della manualità e della produzione ceramica del territorio.

RIDARE LUSTRO ALL’UMBRIA Sono 250 le aziende umbre che operano nel campo della ceramica artistica. Danno lavoro circa 800 addetti. Un indotto importante, per il sistema produttivo regionale, che negli ultimi anni ha subito in modo pesante i colpi inferti dalla crisi economica.

La ceramica a lustro cerca un rilancio. Proprio perché è la più prestigiosa, ma anche la più difficile da produrre e da copiare lontano dal “cuore verde d’Italia”.

Timothy Wilson, conservatore delle Arti Occidentali dell’Ashmolean Museum di Oxford, specializzato in maiolica rinascimentale italiana e uno dei massimi esperti al mondo di ceramica a lustro, nella sua prefazione al libro “I tempi e le stagioni. Scritti Umbri”, del grande artista Alan Caiger-Smith, scrive:

«Ciò che rende l’Umbria speciale agli occhi di chi vive lontano ha a che fare non solo con l’eredità del passato, ma con il forte senso del luogo che pervade ancora i paesi e le città di questa splendida regione. Questo forte senso del luogo non si basa solo sulle continuità storiche, familiari e fisiche, ma sulla chiara consapevolezza che l’identità di ognuno sia legata all’appartenenza ad una comunità locale. In questo contesto, fare maiolica a Deruta, a Gubbio o a Gualdo Tadino è molto più di una maniera per guadagnarsi da vivere o di creare cose belle: è un modo attraverso il quale le persone creative ottemperano al loro dovere nei confronti del luogo a cui appartengono».

Alberto Mossone