Unica Umbria

Storia & Storie

Beccatiquesto e Beccatiquestaltro

Diario di viaggio, Luoghi
Autore: Querci, Daniela

Due torri gemelle. Rivali in aperta campagna nei pressi di Castiglion del Lago. Si fronteggiano a cento metri di distanza l’una dall’altra, come avversari in attesa dell’inizio del duello. Oggi, provate dal tempo, ci appaiono come due giganti in disarmo, vecchie antagoniste dai connotati alquanto particolari. A cominciare dal nome.

Battezzate dai rispettivi artefici Beccatiquesto e Beccatiquestaltro, si tratta di due torri, erette – al confine fra il territorio perugino e quello senese – da uomini il cui senso dell’umorismo non veniva evidentemente scalfito dalle ostilità che insanguinavano le due repubbliche confinanti nella seconda metà del XIV secolo.

 

Le due torri “Beccatiquesto” e “Beccatiquestaltro” immerse nella campagna di Castiglion del lago

 

La causa scatenante della costruzione della prima torre – Beccatiquesto – edificata dai senesi poco fuori la cittadina di Chiusi, non è ben documentata. Ma la replica dei perugini all’affronto subìto non si fece attendere. Nel giro di un anno il torrione ottagonale toscano si vide ostruire la visuale verso l’Umbria da una massiccia costruzione in travertino, svettante da un poggetto situato a pochi metri dal confine con la repubblica nemica.

Il nome della seconda torre era scontato: Beccatiquestaltro, tanto per non essere da meno neanche in fatto di toponimi. Sfruttata principalmente come sede di una dogana pontificia, la torre di Beccatiquestaltro ha patito nel corso dei secoli – insieme alla sua vicina e rivale – innumerevoli vicissitudini e qualche gloria, fra le quali la maggiore è senz’altro quella di essere stata immortalata nientemeno che dalla penna di Leonardo da Vinci nella Veduta a volo d’uccello della Valdichiana, mappa disegnata fra il 1502 ed il 1503, ed ora conservata negli archivi della Royal Library, nel castello di Windsor. E proprio nella mappa, le due acerrime nemiche sono state colte in un atteggiamento che i rispettivi costruttori avrebbero trovato quantomeno sconveniente: legate da un ponte che ne stravolge completamente lo scopo primario, convertendone il ruolo da ostacoli a pilastri del passaggio sulle rive del Chiana.

Il cartello stradale che indica le due torri

DA FERTILE VALLATA A INFERNO DANTESCO E RITORNO Il ponte doveva permettere il transito attraverso la vasta zona paludosa che era a quei tempi la Valdichiana. La storia geomorfologica di questa valle, che si estende in direzione N-S per circa 100 Km da Arezzo fino alla piana di Orvieto, rasentando i comuni umbri di Castiglione del Lago e Città della Pieve, è stata mutevole e singolare.

Menzionata come “granaio dell’Etruria” per l’abbondanza e la qualità dei raccolti nel periodo pre-romano, poi sede di una delle più importanti vie di comunicazione della repubblica romana – la Cassia, che la attraversava longitudinalmente – la Valdichiana fu soggetta, a partire dagli ultimi anni della repubblica, ad un lento ma inesorabile processo di impaludamento, dovuto principalmente all’inversione del corso del Chiana, che da immissario del Tevere iniziò a confluire le proprie acque verso l’Arno.

Dante Alighieri la ricorda come un luogo malsano ed insalubre, fonte di sofferenze equiparabili a quelle inflitte ai dannati nella decima bolgia infernale. A metà del 1500, nonostante vari tentativi di bonifica, l’area è ancora paludosa, e solo quando tutto il territorio sarà compreso nel dominio mediceo la Valdichiana verrà sottoposta ad una lunga serie di interventi di risanamento su progetti di insigni scienziati, fra i quali Galilei e Torricelli.

Nel contesto dell’attuazione di piani idrometrici che sfruttavano il metodo della colmata per bonificare la valle, la torre di Beccatiquesto appare parzialmente sommersa in un disegno del 1719 e, come risulta da alcuni rilievi, è ancora circondata dalle acque nel 1789, quando ormai gran parte della valle ha recuperato il suo antico splendore. Come testimonia Goethe nel suo “Viaggio in Italia”, riferendosi alla Valdichiana con queste parole: “Non è possibile vedere campi più belli…”.

Il paesaggio tra Umbria e Toscana dove sorgono le due torri

IL LABIRINTO DI PORSENNA E LA GALLINA DAI PULCINI D’ORO I miti e le leggende del territorio su cui sorgono le due torri sono innumerevoli ed antichissimi. E spesso si intrecciano così profondamente con la storia da rendere difficoltoso discernerli dalla realtà. È un fatto che Chiusi fu una delle più potenti città della dodecapoli Etrusca, e sede del lucumone Porsenna, che non esitò ad attaccare e tenere in scacco Roma.

È invece leggenda – probabilmente creata ad arte dagli storici dell’età imperiale Tacito e Tito Livio per nascondere l’imbarazzante disfatta di Roma – che il Re Porsenna, pieno di ammirazione per gli atti di valore di Orazio Coclite, Muzio Scevola e Clelia, desistette dal conquistare Roma, ritirandosi a Chiusi.

Resta in bilico fra mito e realtà storica la vicenda del labirinto e del mausoleo di Porsenna, di cui ci è prevenuta una minuziosa descrizione redatta da Plinio il Vecchio su notizie fornitegli da Varrone. Nella sua Naturalis Historia egli narra come il Re, sentendo avvicinarsi l’ora della morte, facesse costruire il proprio mausoleo all’interno di un inestricabile labirinto dal quale si sarebbe potuti uscire soltanto equipaggiandosi con il celebre filo di Arianna.

Plinio qualifica il labirinto come “italico”, e lo annovera fra i quattro degni di essere tramandati alla memoria dei posteri, insieme ai leggendari labirinti greci di Cnosso e di Lemno, ed a quello egiziano presso il lago di Meride. Nel cuore del labirinto, situato sotto la città di Chiusi, riposerebbe ancora oggi Porsenna, adagiato in un cocchio d’oro trainato da 12 cavalli, e vegliato da una chioccia con 5.000 pulcini, anch’essi in oro, simbolo della sua potente armata e delle famiglie nobili che avevano acquisito il diritto di essere sepolte vicino al re.

La particolareggiata descrizione di Plinio il Vecchio – cronista attendibile e fonte preziosa di innumerevoli notizie storiche dell’Antichità – entusiasmò molti animi nel corso dei secoli, stimolando i sogni di archeologi e non (persino un pontefice, Papa Pio II, tentò di rintracciare la favolosa tomba) ed alimentando campagne di ricerca appassionate. Negli anni ’20, la notizia della scoperta di una serie inestricabile di cunicoli nel sottosuolo di Chiusi fece sperare gli archeologi di tutto il mondo. Ma neanche uno dei favolosi 5.000 pulcini d’oro venne mai rinvenuto.

Il vero tesoro – ancora oggi chiamato il labirinto di Porsenna – è in realtà un antico sistema di drenaggio ed approvvigionamento idrico creato dagli Etruschi tra il 500 ed il 400 a.C.. Attualmente visitabile soltanto in parte, cela ancora nelle sue viscere anfratti da esplorare e misteri da scoprire, sui quali le guide e gli abitanti del luogo, che lo hanno utilizzato nel corso dei secoli come cantina, rifugio e sede di incontri clandestini, hanno centinaia di aneddoti da raccontare.

Daniela Querci