Unica Umbria

Storia & Storie

La tavola umbra e l’agone tra uomo e natura

In tavola
Autore: Grignaffini, Andrea

Una cucina eremita, colta, e scarna: scarsamente addomesticata, incurante delle mode e sprezzante dell’effimero. La cucina umbra ha un ché di spirituale, di francescano nella sua considerazione della materia che, in quanto elemento di congiunzione con l’agente naturale, è sempre nobile e prima. Si tratta di una cucina vigorosa e potente, essenziale e materica.

Ma che genere di manipolazione designa la cucina umbra a differenza, poniamo, di quella toscana? Importante a questo proposito segnalare come la cucina in Umbria trovi la sua identità in un repertorio di preparazioni eminentemente domestiche, a differenza di altre regioni dello stivale dove, invece, si è istituito un abito mutuato dalla cucina come pratica professionale. Questa “amatorialità” della pratica culinaria umbra avrebbe determinato una peculiare dimestichezza con la tecnologia, elemento connaturato all’essere umano.

Per questo, essa sarà assolutamente priva di orpelli, come dimostra il trattamento riservato alle carni nel confezionamento dei salumi e degli insaccati, elementi regionali che testimoniano dell’agone che, tra uomo e natura, si consuma appunto da millenni.

L’oggetto? L’anelito alla sopravvivenza, ovviamente, che si materializza attraverso l’esigenza della conservazione riaffermando un’aberrazione specie-specifica dell’essere umano: quella della putrefazione.

Pranzo di famiglia, fotografia di Steve McCurry, Sensational Umbria

Questo tipo di singolar tenzone tra uomo e natura ha determinato l’affinamento delle tecniche di conservazione al punto da permettere all’uomo di accedere, se non al benessere, comunque alla sopravvivenza, determinando, soprattutto là dove c’era abbondanza di carni, una prosperità senza precedenti. Ecco dunque che l’insaccato, prima ancora del salume, diventa emblema di questa cucina, che vanta una quantità sbalorditiva di manufatti tanto più se consideriamo questo numero e questa varietà nell’economia e nella limitatezza della zona di produzione: Norcia; un toponomastico ha finito per battezzare, per estensione, anche il mestiere che qui si praticava.

Quella del norcino, tuttavia, è una professione altamente specializzata ma anche profondamente ibrida, maschia di natura, che spingeva la maestria nella lavorazione della carne al punto da ammettere, nel Medioevo, nella sua inclusione semantica anche il dominio della chirurgia.

A questa, si affiancava il mestiere dello speziale che aveva il compito di confezionare preparati, con erbe officinali e aromatiche, per risollevare quelle stesse carni da quegli odori che avrebbero potuto, anche solo alla lontana, rimandare appunto allo spettro tanto temuto della putrefazione.

Sempre nell’ottica di pacificazione di questo agone Uomo/Natura, potrebbe poi esser letta l’inclinazione al consumo di leguminose della regione, che altro non è se non il frutto, ripagato, del rapporto, appunto, che l’uomo ha istituito con la natura di cui la cicerchia, il fagiolino, la lenticchia e l’olio extravergine d’oliva sono, nella loro compiuta semplicità, il più degno coronamento.

 Andrea Grignaffini