Unica Umbria

Storia & Storie

Ficulle, l’isola che c’è

Luoghi
Autore: Morcellini, Mario

Procedo con lentezza
come chi arriva così da lontano
che dispera di giungere
(Jorge Louis Borges)

Tutti, persino i poeti o quella loro variante che chiamiamo cantanti, preferiscono abitualmente parlare dell’isola che non c’è. Ma questo non vale per gli umbri, perché pochi come loro sanno che basta cercare, basta saper guardare e l’isola si trova. Magari è lì, davanti agli occhi che non sempre sanno alzarsi per cogliere la ricchezza di ciò che ci è dato. Il segreto, infatti, è quello di non dare per scontato ciò che ci è stato regalato; il segreto, è guadagnarselo ogni giorno.

 

Panorama di Ficulle al tramonto

 

Ficulle è un paese umbro come molti altri, e quindi parte di un discorso, tessera di quel mosaico che è la bellezza del territorio. È difficile quindi trovare formule, accenti e informazioni che valgano per quel paese.

Ma c’è una ragione per cui per ognuno di noi, un luogo, una parte anche apparentemente ridotta del territorio, un paese, diventano serbatoio di significati, di memorie, di emozioni che scattano solo lì.

Uno scrittore che ha capito tutto della dinamica inestricabile tra un uomo e il suo paese, ci ha regalato una formula giustamente famosa e che non ammette repliche: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. È il poeta che meglio ha descritto il bisogno umano, e insieme la sua sostanziale impossibilità, del ritorno al paese e al passato. È il ritratto più autentico del bisogno che tutti noi avvertiamo di ritornare alle nostre radici: Cesare Pavese.

La sede del Comune di Ficulle

PAESE DELLA MEMORIA Allora, cosa possiamo dire di ciò che più rappresenta Ficulle, senza che questo significhi antagonismo o snobismo rispetto ai tanti bei paesi dell’Umbria? È anzitutto un “paese della memoria” e non solo perché gli abitanti sono – come nel resto dell’Umbria – più vecchi della media italiana.

Lo è per la forza e l’orgoglio della tradizione, per il modo in cui il passato nelle vie dell’Umbria sembra confondersi con il presente e offrire alla sensibilità e alla sensazione un fantastico flashback: come se passato e presente si confondessero continuamente.

Azzardo di più: come se gli uomini del passato, quelli ospitati nelle colline dei morti, prendessero ancora parte alla vita e al destino dei posteri.

Più che altrove, l’Umbria e tutti i suoi luoghi sono davvero una comunità di destino. Non è difficile trovare una prova di questo sorprendente culto della memoria, che però non si confonde con la polvere o l’angoscia del passatismo. Tanti sono quelli che hanno scritto sull’Umbria e sul suo passato (su tutti, amo citare Igea Frezza Federici). Tante sono le iniziative e le officine della memoria. Tante ed esuberanti le citazioni del passato, tollerabili persino quando si presentano come folklore. Molti i gruppi di ricerca che coltivano la storia e la trasmissione al futuro del nostro patrimonio di identità e valori. E Ficulle si distingue anche qui, perché da quasi un decennio un folto gruppo di giovani e adulti ha dato vita al Gruppostoria, che già oggi ha regalato non solo ai suoi abitanti tre libri sulla lingua, sulla vicenda storica e politica e infine sulla Chiesa Collegiata.

La torre di Ficulle

TRA SILENZIO E RUMORI Ma qual è il fondale storico-artistico di questo paese? Cosa lo definisce e lo rende unico senza perdere però elementi di contatto e di continuità con altri piccoli centri umbri? A ben vedere, non è una singola opera d’arte, ma l’insieme, quello che gli studiosi direbbero l’ecosistema. E dunque più l’atmosfera, l’equilibrio tra silenzio e rumori, il continuum tra case e chiese, lo skyline del disegno del paesaggio. È stato per primo Alessandro Manzoni ad insegnarci a leggere il paesaggio come un’opera d’arte; il primo a parlarci dello “spettacolo dei luoghi”, e a descrivere quella sensazione in forza di cui un monte, una chiesa, una veduta ma anche la cartolina di un paese, entra nel Dna di chi ci nasce o lo adotta e diventa, un pezzo del suo patrimonio visivo e spirituale. A Ficulle tutto questo diventa semplice e immediato; non è un’esperienza intellettuale.

E quindi la scelta che adesso farò di descrivere qualche particolare manufatto va letta nel contesto di un insieme di segni e di stimoli, che possono valere anche per il visitatore. Non per il turista della fretta, ma per il viaggiatore che sia alla ricerca di se stesso e dunque si dà il tempo di capire e di sentire.

Gli aspetti più monumentali di Ficulle sono quelli in cui meglio respira il passato. Un passato che nel nostro caso è stato tutt’altro che licenziato, perchè ha fatto del nostro paese un centro gravitazionale importante, non solo perché a metà strada tra Orvieto e Città della Pieve. Impossibile allora non partire dalla citazione delle due torri poste all’ingresso e all’uscita del paese, elementi decisivi della costruzione dell’immagine di Ficulle, al punto che una di loro, alla Porta del Sole, sembra quasi messa lì per regalare un’immagine di ricapitolazione del paese. Certo, come in tanti centri umbri, le chiese la fanno da padrone nella nobilitazione del tessuto urbano e nello stacco rispetto alle residenze e alle case private.

La facciata della chiesa di Santa Maria Nova

Domina il centro del paese, in uno slargo concluso dal Palazzo comunale, un’importante Chiesa – Santa Maria Nova – che i ficullesi si sono orgogliosamente costruiti con proprie risorse in una fase in cui occorreva dare un segnale di una discreta potenza raggiunta da Ficulle: è la Collegiata disegnata e progettata da Ippolito Scalza, che arditamente forza l’omogenea “struttura a fuso” dell’impianto urbano, offrendo così una seconda icona decisiva per il viaggiatore. Il modo in cui il Presbiterio e l’insieme delle absidi si allunga rispetto alla linea delle case è davvero un secondo elemento cult del paesaggio, riconoscibile fortunatamente anche da lontano, dai finestrini del treno e da quelli delle automobili che sfrecciano veloci sull’autostrada. La facciata è singolarmente spoglia, ma al suo interno essa è ricca di straordinari stucchi, di un altare monumentale perfettamente restaurato da poco, di un Battistero, un pulpito e un organo certamente impegnativi, e quasi pretenziosi, per un piccolo centro; e infine, un bel numero di tele tra cui spicca una fantastica “Ultima Cena” di scuola nebbiana.

È essenziale dichiarare per di più che non è la più bella chiesa del paese. Non lontano dall’ingresso sulla via Cassia, infatti, si erge una bella chiesa duecentesca, con interessante portale gotico, (tanto più significativo in un paese sostanzialmente connotato da un impianto cinquecentesco) e ricca da affreschi straordinari, seppur deperiti, risalenti al Quattrocento: è chiamata Santa Maria vecchia, per lo spostamento dell’asse urbano che ha preteso la costruzione della nuova che sopra abbiamo descritto; ma meglio sarebbe definirla Pieve di Santa Maria.

Il classico coccio ficullese

LA CALMA SPAVALDA Mi fermo qui, nella fatica di scegliere e selezionare centri di attrazione, in un paese che è tutto monumento. Ma c’è un aspetto che non può essere dimenticato anche in una narrazione abbreviata, che mette insieme la storia e la fatica del lavoro e l’identità visiva di Ficulle: “il coccio”, quella terracotta fino all’impietoso arrivo della plastica, è stato l’oggetto più cruciale della vita domestica quotidiana, tratto dall’argilla che così potentemente disegna i calanchi del territorio, lavorato sapientemente al tornio e cotto nel forno a legna da parte di artigiani che mirabilmente portano nel nuovo secolo una dimensione, non solo economica, che rischiava di spegnersi con il millennio.

Molti sono i motivi per venire a Ficulle: la semplice autenticità dei cibi, la raffinatezza dell’olio e del vino, quest’ultimo in particolare sottoposto ad un importante riposizionamento e rilancio da parte di arditi concittadini. Ma su tutti i motivi che posso suggerire all’interesse di un viaggiatore, stacca l’invito di Borges a vivere la vita con “calma spavalda”. Chiudo allora ampliando la citazione di testa:

che non sia persistenza di bellezza,
ma almeno di certezza spirituale
Procedo costeggiando la mia esistenza.
Procedo con lentezza,
come chi arrivi così da lontano
che dispera di giungere.

Mario Morcellini

Web: https://www.liveorvieto.com/comune-ficulle/