Unica Umbria

Storia & Storie

Parrano, rifugio dei diabolici amanti 

Diario di viaggio, Luoghi
Autore: Bertoldi, Elio Clero

Il film “Sanguepazzo”, presentato a Cannes qualche anno fa, ripropose la storia della coppia di belli e dannati: Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, la cui parabola di attori e, forse, di aguzzini fascisti, finì a Milano nel 1945 davanti a un plotone di esecuzione dei Partigiani.

Alla fine del 1944 i due attori-amanti (lei aveva appena finito di girare “La locandiera”) vissero da sfollati nel castello di Parrano, nell’orvietano, costruito nel Medioevo dai bellicosi conti Bulgarelli, gli stessi che si allargarono poi fino a Migliano e a Marsciano.

Veduta di Parrano

Il maniero, divenuto nel frattempo proprietà dei principi Ruspoli, era stato acquistato nel luglio del 1940 da Attilio Monti (detto “Artiglio”) poi facoltoso industriale petrolifero e della carta stampata, partito per la sua scalata di “self made man” da un’attività, svolta con il più classico dei carrettini, di robivecchi, di rigattiere, di straccivendolo.

Il suggestivo palazzotto era stato poi rivenduto, con tutta la tenuta che lo circondava, al professor Vittorio Valletta da Sampierdarena, direttore generale e amministratore delegato della Fiat di Torino.

La Ferida e Valenti (con un gruppo di parenti e amici, tra i quali il padre dell’attore, il barone siciliano Lillino Valenti, ex ambasciatore d’Italia) si installarono nel castello sul finire del 1943. Venivano da anni di successi cinematografici.

Luisa Ferida

Lei – davvero molto bella – aveva trenta anni (era nata a Castel San Pietro in Emilia nel 1914) e appariva nel pieno della sua fama e del suo fascino. Si chiamava, per l’anagrafe, Luisa Manfrina Farnet e aveva iniziato prima nel teatro con la compagnia di Ruggeri e, subito dopo, con quella di Paola Borbone. Era quindi approdata al cinema esordendo, nel 1935, con “La freccia d’oro”. Seguirono “Il conte Brechard” (‘37), “Un’avventura di Salvator Rosa” (nel ‘39, qui forse avvenne l’incontro fatale con Valenti), “La Corona di ferro” e “Nozze di sangue” (‘41), “La cena delle beffe” (nella quale recitò ancora a fianco di Valenti), “Fari nella nebbia”, “La bella addormentata” e “Gelosia” (tutti nel ‘42) e infine “La locandiera”.

Lui, discendente di una nobile famiglia siciliana, aveva finito per diventare attore. Piccole parti in film muti tedeschi, poi l’affermazione, negli anni Trenta, con i ruoli di “cattivo”, di antagonista malvagio, insomma, dei film d’azione. Interpretò, tra gli altri, “Ettore Fieramosca” (‘38), poi fece coppia, anche sullo schermo, con la Ferida.

Si mormora che i due facessero anche uso di droghe, che all’epoca giravano solo nel bel mondo dei ricchi, degli scrittori, degli artisti.

La coppia si era compromessa con il regime e si era rifugiata, dopo l’8 settembre del 1943, nel castello medioevale in attesa di salire al nord. Un gruppo di facoltosi sfollati nelle campagne umbre. La zona, raccontano i vecchi del paese, risultava tranquilla (difficilmente qualcuno degli abitanti del paese era mai entrato in una sala cinematografica) e per certi versi protetta, se si considera che nel piccolo comune si trovavano le proprietà e un “buen retiro” di una delle famiglie più ricche e potenti d’Italia (i Valletta e, di conseguenza, gli Agnelli).

Osvaldo Valenti con Luisa Ferida nel film “Fedora” (1942)

Gli anziani di Parrano sussurrano anche di una storia di amore – meglio sarebbe definirla di sesso, tout court –, durata una settimana, tra la splendida attrice e un giovane del posto.

Quasi la riproposizione di un mito greco: la passione tra una dea dell’Olimpo e un giovane pastore. Voci di popolo o realtà? Chissà.

Il giovane che godette – se le voci fossero vere– delle grazie della diva per sette giorni e sette notti di seguito sarebbe diventato, da adulto, un funzionario della Repubblica Italiana. In questo gli andò molto meglio degli amanti delle dee dell’antica Grecia, sbranati dai cinghiali, stroncati da una freccia o da una lancia, trasformati in alberi o animali.

Nel suo libro, dal titolo “Parrano”, Franco Milani rende conto della presenza nel paesino dell’orvietano della famosa coppia. E riferisce due episodi singolari.

Il primo. “L’eccentrico barone Lillino Valenti, ex ambasciatore (il figlio Osvaldo era nato a Istanbul, nel 1906, ndr) – racconta Milani – un pomeriggio d’inverno, dopo una abbondante nevicata si mise a sciare per le vie del paese. Poi finì per cadere rovinosamente, in una scarpata nelle vicinanze della casa del Pievano, fra le risate dei paesani che assistevano alla sua performance».

L’altro riguarda più direttamente la Ferida e il suo uomo che, narra Milani, familiarizzarono subito con la popolazione locale riscuotendo simpatia e affetto. Forse non avevano iniziato ancora la loro involuzione politica e umana o forse, la loro vita di sfollati, in mezzo a una realtà semplice, bucolica, li aveva guariti dal loro “sanguepazzo”.

Scena del film “La bella addormentata”, diretto dal Luigi Chiarini, 1942

Ed ecco il secondo aneddoto. «Un giorno Luisa Ferida – riferisce lo scrittore e storico locale – vide un asinello e chiese a Osvaldo di comprarglielo. Subito fatto. Il mattino dopo davanti alla porta del castello, stazionavano, tenuti alla cavezza dai proprietari, numerosi asinelli, nella speranza di nuovi acquisti».

Si era in tempo di guerra e i poveri dei paesi e delle campagne in Umbria, non solo di Parrano, avevano bisogno di tutto. Evidentemente nell’acquisto dell’asinello l’attore era stato particolarmente liberale e generoso. E i contadini speravano in un altro “capriccio” della diva.

Dopo aver svernato, la coppia e i loro amici raggiunsero Milano. E aderirono alla Repubblica sociale italiana. Fecero in tempo a girare il loro ultimo film, insieme, (a Venezia: “Un fatto di cronaca”).

La loro parabola si chiuse in maniera tragica. Furono catturati dai partigiani, accusati di collaborazione con i torturatori fascisti (la famigerata banda Koch, formata da fanatici assassini) e fucilati, uno accanto all’altro, il 30 aprile del 1945, due giorni dopo la fine di Benito Mussolini e Claretta Petacci, altra coppia di celebri amanti del regime fascista, finita sotto i mitra di un commando partigiano.

Forse per Ferida e Valenti, quei mesi d’inverno trascorsi a Parrano, tra gente umile e vita agreste, rappresentarono il loro piccolo, breve, Eden. Un paradiso perduto. Prima di essere travolti nel gorgo, definitivo e fatale, di un inferno di crudeltà, di pazzia, di sangue, di dolore e di morte.

Elio Clero Bertoldi