Unica Umbria

Storia & Storie

Preci per la regina

Diario di viaggio
Autore: Fioravanti, Federico

Cesare Scacchi, un chirurgo di Preci, nel 1588 operò alla cataratta la regina d’Inghilterra Elisabetta I e fu ricompensato con mille scudi d’oro. «Good save the Queen!»: l’urlo di gioia risuona anche nelle ovattate stanze di Whitehall. Un messaggio di Sir Francis Drake ha appena annunciato che «le navi di Spagna sono un gregge di pecore disperso nell’oceano».

L’Invincibile Armada è sconfitta, spazzata via dalla capricciosa forza del mare e dal coraggio degli agili vascelli inglesi. Quell’imponente esercito formato da 130 grandi navi e 24mila soldati ora vive l’onta della fuga e del disonore. Il sogno di Filippo II, coltivato in febbrili notti di preghiera all’Escorial, si è trasformato in un incubo: un tetro racconto di morte che viaggerà per secoli, di bocca in bocca, in tutte le corti d’Europa.

Il cosiddetto Ritratto dell’Armada, dipinto dopo il 1588 per commemorare la disfatta dell’Invincibile Armata. Elisabetta tiene la mano sul globo, simbolo di autorità, mentre sullo sfondo è raffigurato l’evento

Dio ha salvato la regina. E anche l’Inghilterra. È un miracolo. Il popolo, ebbro di felicità, celebra il trionfo di Elisabetta. La sovrana ha 55 anni e regna da 30. È all’apice della sua potenza.

Ma attorno a lei, in quel fatale 1588, il tempo è diventato un compagno crudele e sembra non curarsi della sua gloria: gli amici di sempre, i fedeli scudieri di una vita, stanno scomparendo, uno dopo l’altro. Walsingham, l’astuto consigliere, è malato. E Leicester, l’antico favorito, è irriconoscibile: grasso, gonfio d’alcol, morirà, ucciso da una febbre improvvisa, proprio all’inizio dell’autunno.

Uno choc per la regina: la “vergine guerriera” che ha sconfitto quell’Armada che sembrava invincibile, è piegata dal dolore. La corte, attonita, assiste alla disperazione di una dea tornata, di colpo, solamente una donna. Elisabetta piangerà la fine di Leicester per giorni, rinchiusa nelle sue stanze, leggendo e rileggendo l’ultima commovente lettera del vecchio amante, il consigliere fidato che, come nessuno, sapeva adularla e esserle vicino nei momenti difficili.

QUELL’INDIMENTICABILE 1588 Ma il tempo sa anche consolare. Quella che agli inglesi appare come una mamma imperiosa, è anche e soprattutto una femmina che non ha rinunciato al sogno di un amore.

Indossa scarpe di seta e giarrettiere ingioiellate. Ha tremila vestiti. Adora le perle e i monili. E nasconde i segni del vaiolo e le rughe dietro un trucco immacolato, una miscela sapiente di albumi e gusci d’uova tritati. Alla fine di quell’indimenticabile 1588, la regina ha voglia di tornare a vivere. Come i suoi sudditi, sedotti negli affollati teatri di Londra dalle opere di Shakespeare e dalle poesie del giovane Marlowe.

Il conte di Essex

Due uomini, in quei giorni, lottano per il cuore della regina. Il primo è Walter Raleigh. Navigatore, corsaro e poeta, ha uno sguardo assassino, la battuta pronta e mille storie da raccontare. È lui che per primo ha portato dal Nuovo Mondo in Inghilterra le piante di tabacco e i semi delle patate che tanta fortuna avranno, nei secoli, tra i sudditi di Sua Maestà. Raleigh è anche l’esploratore di una lontana terra americana che proprio in onore della grande regina, verrà poi chiamata Virginia. Quell’affascinante avventuriero ha solo 33 anni, 22 in meno della sovrana. Elisabetta non se ne cura. Da tempo si circonda di giovani adulatori. Fra i quali emerge presto il nuovo favorito: Robert Devereux, conte di Essex.

È il figliastro di Leicester. La bisnonna di quel ragazzo altissimo e dallo sguardo sognante era la sorella di Anna Bolena, madre di Elisabetta. Robert ha 21 anni. È colto, impetuoso e arrogante. La regina ne è conquistata. Lo chiama “Pettirosso”. E davanti a tutti si compiace di conversare, ascoltare musica, ballare, cavalcare e scherzare di continuo con quel suo giovane e lontano parente. Nel 1588 Robert eredita anche la carica che fu di Leicester: “Master of the Horse”, la terza dignità della Corte.

IL SEGRETO DELLA REGINA Elisabetta mostra ancora una inesausta vitalità. Ma nasconde un segreto, sussurrato di bocca in bocca, da una corte pettegola che segue e commenta ogni suo gesto: ormai non vede più, non riesce più nemmeno a leggere i bigliettini ricchi di calembour che ama scambiare con i suoi favoriti. Quel mondo leggero e sfarzoso che la circonda le appare ogni giorno più opaco e indefinito.

La grande regina convive con la paura della cecità. Già da mesi, i consiglieri più fidati scandagliano le corti d’Europa alla ricerca di un chirurgo che possa operarla alla cataratta. L’intervento è rischioso. E non c’è in tutta l’Inghilterra qualcuno che abbia le capacità e le conoscenze adeguate per affrontare la difficile operazione. Quello che allora è forse il migliore medico al mondo abita in Italia. Si chiama Durante Scacchi: è nato a Preci, un villaggio dell’Umbria, il piccolo borgo conosciuto nel Bel Paese per aver dato i natali ai chirurghi più famosi dell’epoca. Ma c’è un ostacolo che all’apparenza appare insormontabile: Durante è anche il medico personale di Sisto V, il papa cattolico, grande nemico della regina. Addirittura vive nel palazzo del Quirinale, a contatto quotidiano con il pontefice.

LA SCELTA DI CESARE Affidare gli occhi della sovrana protestante all’archiatra del papa: l’idea appare temeraria anche a Durante Scacchi, che accoglie la proposta con una prudenza che somiglia alla paura.

Si mostra lusingato, ma spiega che non può certo creare un “caso diplomatico” che metta in discussione la benevolenza del pontefice verso la sua persona e la sua famiglia. E allora suggerisce ai messi londinesi il nome di un altro medico, il suo allievo prediletto, che altri non è che suo fratello: Cesare Scacchi, notissimo per la conclamata perizia in anatomia e chirurgia.

Miniatura che illustra un’operazione di cataratta nel Medioevo

Da allora in poi, tutto accade rapidamente e in gran segreto: Cesare sale in carrozza e parte per Londra, scortato da un ristretto numero di nobili della corte elisabettiana. Sulle rive del Tamigi, prima della sua prova d’autore di grande chirurgo, lo attende una estenuante “quarantena”, fatta di consulti, esami e colloqui con i migliori medici della corte.

La salute di Elisabetta è un affare di Stato. Ma anche un segreto, che va chiuso a chiave, come i nemici del trono che affollano la Torre di Londra.

L’anticamera dura settimane. Poi, finalmente, Cesare Scacchi incontra la grande regina. Nulla sappiamo di quei colloqui. E niente è rimasto negli archivi della corte inglese delle accurate visite preparatorie e di una complicata operazione, che avvenne in modo riservato, in una data indefinita di quell’anno fatale. Possiamo solo immaginare l’emozione e l’ansia del giovane medico e la cortese diffidenza della sovrana.

Elisabetta parlava sei lingue in modo fluente. Da giovane, nei duri giorni dei sospetti e della prigionia, aveva studiato l’italiano. Praticava ancora la lingua di Dante, insieme al francese, allo spagnolo, al greco e al latino. Forse, in quei giorni di attesa, chiese al giovane medico italiano notizie della sua vita e del suo paese. E forse, negli alloggi regali di Whitehall, immersi nella penombra che serviva a proteggere gli occhi stanchi della potente regina, Cesare Scacchi raccontò a Elisabetta di Preci, il minuscolo villaggio della sua infanzia, nella boscosa e lontana Valnerina.

UNA RINOMATA SCUOLA CHIRURGICA «Pulchra Sabina Preces… Priscam chirurgis patriam». La bella sabina Preci, arroccata intorno al suo castello, era rinomata da tempo per l’abilità dei suoi chirurghi. Capaci di operare con maestria nei casi di calcoli vescicali, con il taglio (litotomia) o tramite sgretolamento (litotripsia). Ma i medici preciani erano famosi anche per gli interventi all’ernia inguinale e nei casi, allora molto complicati, dell’abbassamento della cataratta. Si parlava di loro in tutta Europa anche per una sinistra abilità: erano specializzati nelle castrazioni. L’orribile operazione veniva eseguita con blande anestesie soprattutto sugli adolescenti destinati alla carriera di cantanti solisti o nei cori delle corti e delle chiese.

La “fabbrica delle voci bianche” sfornava di continuo soprani, contralti e cantori. I più famosi erano quelli della Cappella Sistina, vere e proprie star musicali dell’epoca, assediati dagli impresari e acclamati da un pubblico esigente di prelati, nobili e cortigiani. Del resto, proprio in quell’anno, nel 1588, Sisto V aveva confermato il solenne divieto della Chiesa che negava alle donne di esibirsi nei teatri.

Libro conservato nel Museo della Chirurgia di Preci

Cesare Scacchi forse raccontò alla regina alcune cose che erano già note alla sovrana e alla sua corte: da tempo, i chirurghi originari di Preci prestavano servizio in tutta Europa, contesi dalle università e dagli ospedali delle città più importanti. Alcuni di loro, come Durante Scacchi, di 15 anni più anziano del fratello Cesare, scrissero ambiti e accurati trattati di medicina e chirurgia, dove compendiarono le loro conoscenze.

Trenta famiglie del piccolo centro della Valnerina, nell’arco di quasi cinque secoli, tramandarono, di padre in figlio, tecniche operatorie che per l’epoca apparivano temerarie. Più di 200 chirurghi conquistarono fama e denaro tra i regnanti, i nobili e le università del Vecchio Continente. Spesso volevano essere anche profeti in patria: così reinvestirono il denaro dei loro ricchi cachet nella costruzione dei palazzi gentilizi che ancora adornano la piccola Preci e nell’acquisto di pregiati terreni agricoli sulle colline che circondano il paese.

Il loro successo era dovuto anche alla grande attenzione che prestavano all’igiene e alla sterilizzazione degli strumenti usati nelle operazioni. Allora le infezioni erano la causa più frequente di morte. I preciani introdussero l’uso del rasoio cauterizzatore, che limitava le emorragie. Erano famosi anche per le medicazioni con impasti di erbe officinali, che favorivano una rapida cicatrizzazione delle ferite.

Gli strumenti dei chirurghi di Preci

SANTI EREMITI E MEDICI SAPIENTI Ma come è possibile che in un piccolo centro, lontano dalle grandi vie di comunicazione, si sia sviluppata un’arte così complessa? E perché tanti celebri chirurghi tutti concentrati in un piccolo paese dell’Umbria?

Forse anche Elisabetta lo chiese a Cesare Scacchi. Piace pensare che il medico italiano raccontasse alla sovrana che già nel 450, all’inizio del dominio dei Goti, nei pressi di Preci, vivevano dei santi eremiti, provenienti dalla Siria. Sfuggivano alle persecuzioni che seguirono al tumultuoso concilio di Efeso. Li guidava Spes, un venerato monaco cieco, che riacquistò la vista, dopo 40 anni, grazie alle cure sapienti dei suoi confratelli. Conducevano una vita ascetica, fatta di povertà, penitenze e meditazioni. Soprattutto di preghiere. Da cui, forse, il nome stesso di Preci.

I santi eremiti vivevano in caverne scavate nella roccia, nei pressi di una sorgente che ancora oggi scaturisce da un masso spugnoso. Quando Spes morì, i monaci elessero a loro guida spirituale Eutizio, che viveva con il compagno Fiorenzo in un eremo poco distante. La comunità crebbe. E nacque il primitivo monastero che poi, in onore del monaco eremita, di cui ancora conserva le spoglie, si chiamerà S. Eutizio.

LA CULLA DEL MONACHESIMO La fresca valle Castoriana, chiamata così in onore di un tempietto dedicato a Castore e Polluce, patroni della medicina, fu quindi la culla spirituale del monachesimo. L’infanzia e l’adolescenza di San Benedetto, nato nella vicina Norcia nel 480, fu segnata dall’esperienza di quei santi eremiti. Non a caso, anche la regola benedettina in seguito prescriverà ai monaci di coltivare l’arte medica e la farmacia. Eutizio e i suoi seguaci, in qualche modo, già applicavano l’ora et labora. Curavano le anime ma anche i corpi dei contadini e dei pastori, piegati dalle fatiche della vita quotidiana. Lo Studium medicinae raccoglieva tutta l’antica sapienza di quegli uomini straordinari. Nella farmacia del convento c’erano erbe e piante medicinali, buone per tutti gli usi: la malva, antinfiammatorio naturale, il sambuco, utile nella cura della gotta e dei reumatismi, la gramigna che serviva a curare i calcoli renali. E poi il carciofo, il papavero, l’erba muraiola, la digitale, la felce, la centaura e la miracolosa genziana, tonico naturale con il quale si combatteva l’anemia, l’artrite, le inappetenze e si sedavano anche le febbri.

L’Abbazia di Sant’Eutizio prima del terremoto del 2016

L’abbazia di Sant’Eutizio si sviluppò come una cittadella autonoma. Dai loro vasti possedimenti agricoli i monaci ricavavano il grano, l’olio, il vino, lo zafferano e il formaggio. Gestivano i pascoli. Possedevano bestiame in grande quantità. Acquistarono anche delle saline lungo la costa adriatica. Per secoli, furono il centro propulsore dell’economia di tutta la regione. E un rifugio sicuro per le popolazioni dei piccoli centri delle valli circostanti.

Ma nel 1215, a seguito del Concilio lateranense, la Chiesa vietò la pratica chirurgica all’interno delle abbazie e dei conventi. «Ecclesia abhorret a sanguine»: la Chiesa aborre dal sangue. A malincuore, anche i monaci di Sant’Eutizio si adeguarono alla disposizione papale. Lasciarono le pratiche chirurgiche e si dedicarono alla cura e alla gestione del lebbrosario di San Lazzaro, che nacque nel 1218 lungo le sponde del fiume Nera. Ma non vollero disperdere il loro enorme patrimonio di conoscenze. Trasferirono le tecniche chirurgiche agli abitanti dei paesi vicini, che già da tempo erano esperti nella macellazione dei maiali e delle pecore. I norcini erano già grandi conoscitori dell’anatomia degli animali. La loro esperienza nell’osservazione dei calcoli, delle cisti e delle patologie dei suini, unita agli insegnamenti dei monaci, fece di quei contadini e pastori dei chirurghi empirici, che con gli anni acquisirono conoscenze sempre maggiori, anche grazie alle opere mediche conservate nello Scriptorium dell’abbazia. La loro fama crebbe rapidamente con il perfezionamento delle tecniche e l’invenzione di nuovi strumenti per operare.

UN AGO D’ORO PER ELISABETTA Per l’abbassamento della cataratta, occorreva una grande abilità manuale e una buona dose di sangue freddo. L’occhio sinistro doveva infatti essere operato con la mano destra e l’occhio destro con la mano sinistra. Cesare Scacchi affrontò l’operazione più importante della sua vita a 33 anni. Seguì le indicazioni del celebre fratello Durante: le preziose indicazioni di arte chirurgica furono raccolte nel “Subsidium”, un trattato di medicina che diventò un punto fermo per tutti i medici dell’epoca.

Per l’intervento si scelse la quarta hora di un mattino fresco e temperato. Prima dell’operazione, Elisabetta subì un salasso e digiunò per tre giorni, bevendo molta acqua. Fu poi fatta sedere di fronte al chirurgo preciano, in una stanza ben illuminata. Un assistente tenne ferma la testa regale. Le mani della sovrana vennero bloccate sotto le gambe del chirurgo. Cesare prima bendò l’occhio che non era oggetto dell’operazione. Poi, con mano ferma, introdusse un ago d’oro nel bulbo oculare: raggiunse la cataratta e con una abile rotazione l’abbassò sotto la pupilla. Poi ripeté l’operazione sull’altro occhio, usando l’altra mano.

L’ago per asportare la cataratta

Dopo l’intervento le palpebre della sovrana vennero coperte da un collirio costituito di parti animali e vegetali: un composto di fegato di gallina, ruta, finocchio, verbena ed eufrasia, una piccola pianta della Valnerina che ancora oggi funge da rimedio antiflogistico. Per nove giorni, Elisabetta Tudor rimase a dieta e al buio e i suoi fragili occhi vennero medicati con erbe officinali.

La regina recuperò la vista e il buonumore. Il chirurgo preciano seguì il decorso post operatorio fino alla completa guarigione dell’illustre paziente. In segno di riconoscenza, la sovrana ricompensò il medico italiano con mille scudi d’oro e molti altri regali. Cesare tornò in patria carico di gloria e fu conteso dalle migliori università. Lui, anche per ragioni familiari, scelse quella di Fermo, dove esercitò la carica di “lettore pubblico”. Il fratello Durante Scacchi, medico erudito, gli dedicò la sua più celebre opera medica. Più tardi si trasferì a Fabriano, insieme alla famiglia e agli altri parenti.

Suo nipote Francesco Scacchi, figlio prediletto del celebre Durante, medico, igienista, pioniere dei dietologi e benefattore della sua città, cinquanta anni prima di Dom Perignon nel suo “De salubri potu dissertatio” (Dissertazione sulla bevanda salutare), pubblicato in sette copie nel 1622, descrisse come si poteva riprodurre la rifermentazione in bottiglia. Fu, a suo modo, l’inventore dello spumante e il precursore dello champagne. Ma questa è un’altra storia.

Preci prima dello sciame sismico del 2016

Federico Fioravanti