Unica Umbria

Intervista a Gianfranco Vissani

Curiosità

“L’extravergine è un elemento fondamentale della mia cucina. E detesto vederlo trattato come un prodotto qualunque, quasi secondario. L’omologazione impera, l’ignoranza pure”.

In principio fu Vissani. Intendiamoci, già prima di lui alcuni chef nostrani erano saliti agli onori delle cronache (valga per tutti il nome del grande Gualtiero Marchesi) ma il cuoco umbro è stato il capostipite di una generazione di chef in grado di alternarsi tra cucina e palcoscenico, tra ricette e interviste. I tanti colleghi che ora appaiono in TV gli devono certamente qualcosa. C’è addirittura da chiedersi se certi programmi sarebbero mai esistiti se prima non ci fosse stato lui, Gianfranco Vissani. Imponente, faccia da attore, battuta fulminante ma, soprattutto, grande interprete di una gastronomia di altissimo livello. Pochi al mondo sono in grado di giocare con gli ingredienti come lui, di combinare sapori a volte teoricamente in antitesi e tirarne fuori piccoli capolavori culinari. Non a caso il suo ristorante in quel di Baschi è ormai da anni una meta irrinunciabile per tutti coloro che da un piatto chiedono, oltre al gusto, anche un’emozione, una scintilla in grado di accendere l’anima.

Gianfranco, tu sei un maestro nel combinare gli ingredienti. Allora proviamo a dare la ricetta per avere uno chef perfetto?
Ci vuole istinto, innanzitutto. Io ero un bambino di otto anni e già avevo un certo istinto per la cucina. Poi occorre amore, perché senza amore è difficile far bene le cose. Ma a queste cose, che in fondo hai già dentro, devi aggiungere la tecnica che ti consente di raggiungere certi livelli e di guidare quello che hai dentro a livello inconscio. E infine, fondamentale, la ricerca. Devi studiare, affinare le nozioni già acquisite, guardarti intorno per trovare i prodotti necessari per esaltare la tua cucina e il tuo stile.

Quindi la materia prima è importante.
Fondamentale. Se non scegli con attenzione gli ingredienti, badando alla loro qualità, come puoi creare un piatto all’altezza della situazione? Per questo io giro, cerco. E quando mi imbatto in qualcosa che mi sembra possa essere interessante, provo. Guardo, tocco, assaggio. Solo così puoi trovare quello che realmente cercavi, il tassello giusto per completare il puzzle che avevi in mente. In questo modo, tanto per fare un esempio, magari alla fine trovi il pomodoro perfetto per te, dopo averne assaggiati alcuni passati e altri addirittura “trapassati”. Un prodotto sbagliato può rovinarti un piatto. Con quelli giusti invece puoi “costruire” qualcosa che rimane, che soddisfa te e i tuoi clienti.

L’Umbria e i suoi prodotti quanto contano per te?
Molto. È chiaro che io ho un tipo di ristorante dove devi saperti muovere tra le eccellenze di tutto il mondo, lasciando uno spazio importante anche alla cucina di mare. Però l’Umbria è ben presente nei miei menu, i suoi prodotti appartengono alla mia memoria e alla mia cultura ed è bello poterli riproporre in tanti piatti, magari fondendoli con quelli di altri territori e creando dei mix, come dire, multietnici. Detto questo non posso non notare che continuiamo a essere una piccola regione, al di là della reale estensione. Io credo che dovremmo fare squadra, sistema, muoverci in maniera più coesa. E invece spesso avverto ancora gli atavici problemi di campanile. Del resto noi Umbri siamo così, spesso arcaici, di frequente permalosi e chiusi. Non è certo un caso se mia moglie, ogni volta che torniamo in Umbria da un viaggio, mi dice che appena rientro nei confini mi cambia il carattere e ridivento brusco. Fa parte del nostro DNA e questo rappresenta spesso un limite per una crescita che invece, per le bellezze di questa terra e la straordinaria qualità dei suoi prodotti, dovrebbe essere quasi automatica.

Una volta mi è capitato di degustare degli oli extravergine con te ed è stata un’esperienza interessante. Si vedeva chiaramente che nei confronti dell’olio extravergine di oliva hai un amore e un rispetto profondi.
Vero. Del resto quella per l’extravergine è una passione che coltivo da quando ero bambino e, come dicevo all’inizio, quelli sono anni fondamentali per costruire l’istinto. Mi piace l’extravergine, lo ritengo un elemento fondamentale della mia cucina. Ed è per questo che detesto vederlo trattato come un prodotto qualunque, quasi secondario. L’omologazione impera, l’ignoranza pure. Siamo il Paese con il maggior numero di cultivar ma molti non sanno nemmeno di cosa stiamo parlando. E anche nel mio mondo, quello della ristorazione, spesso ti imbatti in situazioni imbarazzanti e in un uso del prodotto decisamente poco corretto e poco stimolante. D’altra parte è pur vero che l’extravergine è una “bestia” non facile da domare, non è come il burro con il quale comunque te la cavi. L’olio extravergine lo devi conoscere e rispettare, altrimenti rischi di fare brutte figure.

Un’opinione e una ricetta che vedano protagonista l’extravergine umbro.
La nostra terra esprime una buonissima qualità di extravergine e quindi la mia opinione non può che essere positiva. Ha sapore, ha equilibrio, è identificabile. Per la ricetta ne scelgo una che in qualche modo esprime con forza il territorio intorno al mio ristorante: la Zuppa di tartufo nero con trota dorata, cappuccino di lenticchie e fettunta. Ecco, è proprio sulla parte apparentemente più semplice del piatto che bisogna fare attenzione. Mi riferisco alla fettunta che si ottiene facendo rosolare il pane al grill da entrambi i lati, quindi ci si strofina l’aglio e poi si va con extravergine umbro. Lo stesso extravergine che andrà aggiunto alla fine, sul piatto ormai completo, per dargli quel tocco che solo un buon extravergine sa dare.

Per ultimo scegli un extravergine di un altro territorio e abbinalo a una tua ricetta.
Sinceramente mi capita sempre più spesso di scoprire ottime etichette. Ultimamente sono rimasto assai colpito da quelle pugliesi. Però scelgo un’altra mia antica passione, l’extravergine ligure e lo propongo con Cannelloni freddi di gamberoni rossi, patate, fagiolini e stracchino con qualche oliva Taggiasca. Aggiungere infine un filo d’olio extravergine… ovviamente da cultivar Taggiasca.

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