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Orvieto, il sole d’Italia in Bottiglia

I primi a capire le potenzialità vitivinicole della zona furono ovviamente gli Etruschi, che facevano fermentare i mosti nelle grotte scavate nella rupe tufacea su cui si erge la città, ma è col Medioevo che il vino bianco di Orvieto guadagna gran parte della sua fama.


Ben presto arriva sulle mense dei Papi e finisce per costituire una risorsa essenziale per la città, tanto da finanziare, in una maniera o nell’altra, la costruzione dello stesso Duomo. Luca Signorelli, cui si deve il ciclo di affreschi che ornano la cattedrale, chiese a compenso della sua opera un vitalizio di dodici some (mille litri) di vino di Orvieto ogni anno, e dimostra tutto il suo amore bacchico con i bassorilievi del Duomo stesso, dove il tema della vigna e dell’uva risultano decisamente ricorrenti. Ma gli aneddoti storici non finiscono qui, se è vero che Garibaldi e i “mille” brindarono con calici orvietani al successo della missione, prima di partire, e che D’Annunzio ribattezzò questo nettare “sole d’Italia in bottiglia”. Di origine villanoviana, Orvieto deve le sue fortune alle componenti geologiche scaturite dal fuoco dei vulcani Volsinii e dalle successive erosioni dell’acqua, oltre che al favorevole microclima che distingue le valli del Paglia e del basso Tevere. Perché è questo il paesaggio straordinario che si ammira dalla rupe: i colli lussuriosi incastonati di vigne e le valli irrigue, i paesi e gli antichi eremi. In questo scenario è disegnato il confine della DOC Orvieto e quello dell’Orvieto Classico (la zona storica), in tutte le sue varianti. Tra i bianchi più conosciuti e apprezzati al mondo, l’Orvieto rappresenta da solo i tre quarti della produzione di vino a denominazione dell’Umbria.

Particolarissime e deliziose le vendemmie tardive e le sontuose Muffe Nobili, da acini d’uva attaccati dalla Botrytis Cinerea; più recenti le declinazioni “rosse”, tu- telate dai disciplinari del Rosso Orvietano e, sempre in zona, del Lago di Corbara.

Antonio Boco, L’Umbria nel bicchiere