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Ottanta erbe campagnole posson bastare

In tavola
Autore: Valente, Virginia

Dolci o amare. Crude, cotte o ripassate in padella. Fritte o bollite. Comunque buone. In tutta la zona, l’arte gastronomica della mescolanza dei sapori nasce da una secolare tradizione.

Uno studio del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università degli Studi di Perugia ha censito circa 80 specie di “erbe campagnole” commestibili che crescono in modo spontaneo alle pendici del Subasio.

Il periodo migliore per degustarle è quello che va tra la fine di febbraio e la metà di aprile, nei primi giorni del risveglio primaverile.

Quelle che una volta per molte famiglie erano le “erbe della sopravvivenza”, spesso mezzo di scambio e di baratto, trasportate nella piazza del vicino mercato di Foligno e vendute dalle giovani raccoglitrici magari per arrivare a comprare il lenzuolo del corredo, oggi arrivano a costare anche 40 o 50 euro al chilo. Hanno nomi suggestivi, strani, a volte poetici.

La ginestrella o violetta che nasce su terreni sassosi, è la base dell’insalata mista a denominazione di origine controllata. Anche se insieme allo speck o alla salsiccia va benissimo anche per condire la pasta.

Ginestrella

La rucoletta selvatica o spontanea fiorisce tutto l’anno. Il papavero o rosolaccio, può essere usato anche come un blando sedativo naturale. La borragine sembra urticante ma ha un sapore dolce. Con i fiori si possono anche abbellire i piatti. E le foglie, soltanto quando sono giovani, vanno bene per la preparazione di minestre, frittate e frittelle.

Borragine, o Borago officinalis

La spilletta è un’erba delicata, della famiglia del finocchio. Non facile da riconoscere. Molto aromatica, va consumata sempre cruda.

Ma è il raponzolo il re dell’insalata campagnola. Ancora oggi è conosciuto come “l’ortaggio dei poveri”  perché si mangia tutto: foglie, fiori e radici.

C’è l’erba piatta, che come spiega bene il nome non è certo pregiatissima ma nell’insalata sta bene comunque.

L’erba sprana, dalle striature rosse, che a Perugia chiamano anche brusca o bruscia: molto amara ma improvvisamente dolciastra dopo la cottura.

La cassella mostra fiorellini gialli: le foglie si consumano cotte e la gustosa torta al testo è spesso il suo destino naturale. La lattuga perenne offre al buongustaio dolci e tenere foglioline.

Crispigno

Il crispigno è l’erba per eccellenza che cresce negli orti ma anche lungo i margini delle strade. Dolciastro rispetto alla maggior parte delle amare sorelle. Le radici, un tempo, dopo essere state torrefatte, fungevano da surrogato del caffè.

Si faceva così anche con l’amarognolo, medicamentoso e diuretico tarassaco, detto anche soffione o pisciacane oppure pisciletto.

L’ottima cicoria, così apprezzata nelle torte salate, nei ripieni di pasta, nelle zuppe e nelle erbe miste bollite, tra tanti pregi, ha quello di non far aumentare il tasso glicemico nel sangue.

La dolcetta, ricca di minerali, va gustata fresca e ha proprietà depurative e lassative.

 

Le foglie della carota selvatica, unite a quelle tenere della margheritina  sono perfette per l’insalata.

Caccialepre, Reichardia picroides

Ma nessuno dimentichi il famoso caccialepre dalle foglioline grigiastre, succoso contorno delle bistecche alla brace. Le foglie crude esaltano l’insalata mista e non perdono sapore quando vengono cotte, condite o saltate in padella. Ne sono ghiotte anche le lepri. Da qui il nome. Anche se nell’Umbria meridionale con lo stesso nome si definisce la Chondrilla juncea, un’altra erba della tradizione alimentare.

Nell’insalata mista il caccialepre si accoppia in modo meraviglioso al raponzolo, alla ginestrella e al pimpinellone, un’erba preziosa che negli usi della civiltà contadina era apprezzata per le sue proprietà calmanti, usata come espettorante e in molte occasioni utilizzata anche contro la caduta dei capelli.

A Spello hanno un debole per il grugno. Le punte degli strigoli che nell’Alto Tevere e a Città di Castello chiamano concigli, vengono utilizzate per arricchire di sapore le frittate.

Le erbe crescono ovunque. Ma per godere di un’insalata campagnola come si deve bisogna allontanarsi dalle strade troppo frequentate. E spesso “cacciare” un’erba alla volta, in luoghi diversi. Lo spinacino che a Perugia chiamano raggiolo, vive nelle zone ombrose sotto gli uliveti. Il sedano d’acqua cresce nella terra argillosa. E se il caccialepre ha bisogno del sole, il raponzolo pretende il buio e l’umidità.

Riconoscere tante varietà richiede tempo e pazienza. Anche perché dopo la raccolta le erbe vanno prima “capate” e poi miscelate in una sapiente alternanza che sappia sposare il dolce con l’amaro.

I gusti divergono, come le ricette. Ma su un punto esperti e raccoglitori concordano: la perfetta insalata alle erbe campagnole non prevede né sale né peperoncino ma solo un olio abbondante che perpetui il ricordo di sapori indimenticabili.

Virginia Valente 

 

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