Unica Umbria

Storia & Storie

Il Grand Tour dei poeti

Diario di viaggio
Autore: Bracci, Barbara

Se i primi viaggi in Umbria risalgono al Medioevo, quando i monaci benedettini vi passavano durante i loro pellegrinaggi verso Roma, attratti anche dagli importanti monasteri, fu con il Grand Tour che l’Italia – e dunque anche la nostra bella regione – divenne mèta di turismo internazionale, a partire dai “viaggi di istruzione” dei giovani inglesi e tedeschi di buona famiglia, desiderosi di immergersi nella storia, nell’arte e nella cultura del Belpaese.

Thomas Patch, Cascata di Terni,1745

A coniare il termine “Grand Tour” fu, nel 1670, l’inglese Richard Lassels. Una delle prime guide usate dai viaggiatori, dopo quella scritta in latino dal giureconsulto di Anversa Franz Schott, fu quella del mercante tedesco Fürtenbach, come ricorda Marilena de Vecchi Ranieri nel suo libro “Viaggiatori stranieri in Umbria 1500-1940”.

E tedeschi furono anche alcuni dei poeti che, dalla metà del Settecento, celebrarono all’interno dei loro versi le bellezze della nostra regione, grazie anche alla popolare guida di Johann Jacob Volkmann, letta, tra gli altri, da Goethe.

Prima del celebre poeta tedesco, anche suo padre, Johann Caspar, attraversò l’Umbria nel 1740 passando, diretto a Roma, da Foligno, Pale con le sue cascate, Terni, ammirando con “piacere quasi divino” il paesaggio innevato di quel giorno di marzo che lasciava lentamente il posto a un’“aria dolce” e a “campi verdi”.

Qualche giorno prima dell’arrivo dell’amico Goethe – con cui condivise il soggiorno a Roma –  anche Karl Philip Moritz, poeta e scrittore tedesco, ebbe modo, nell’ottobre del 1786, di visitare i paesi umbri e fu colpito soprattutto dal percorso che collega Foligno a Spoleto, descritto come “uno dei più belli di tutto il viaggio”, mentre l’Umbria intera gli sembrò avere “qualcosa di dolce e allo stesso tempo grandioso e romantico”.

Johann Wolfgang Goethe arrivò in Umbria da Firenze sempre nell’ottobre del 1786, e visitò Perugia, Assisi, Foligno, Spoleto e Terni. Nel suo diario annotò:

“In un mattino incantevole lasciai Perugia e provai la felicità di essere nuovamente solo. La città è in bella posizione, la vista del lago straordinariamente amena: mi sono ben impresso nella mente quelle visioni”

Anche il Tempio di Minerva ad Assisi colpì l’immaginario di Goethe che una volta giunto sul luogo, accompagnato da un giovane del posto, scrisse:

“Finalmente giungemmo alla città veramente antica  ed, ecco, davanti ai miei occhi, quell’illustre monumento, il primo completo monumento dell’antichità che io contemplavo”.

Corot, Ponte di Augusto a Narni, 1826

Celebre è anche la frase con cui il poeta, nel suo taccuino di viaggio in Italia, manifestò il suo apprezzamento verso il Ponte delle Torri di Spoleto e verso l’utilità civica delle opere architettoniche antiche:

“L’arte architettonica degli antichi è veramente una seconda natura, che opera conforme agli usi e agli scopi civili. È così che sorge l’anfiteatro, il tempio, l’acquedotto”.

August von Platen, poeta romantico tedesco, fu invece in Umbria nel 1828, a maggio, ed ebbe modo di ammirare, come si legge dai suoi diari, il convento di Assisi e Perugia con le sue porte e i suoi panorami, la quale, in un giorno di tramontana, gli ispirò un epigramma, tuttora attuale, contenuto in “Odi, inni, egloghe, epigrammi”:

“Fresco soggiorno in estate concedeti l’ardua Perugia

Ma par l’antro d’eolo ne’ dì che spira il vento”.

Papigno vista da J.B. Camille Corot in un quadro del 1826

Pochi anni più tardi, nel 1835, anche lo scrittore e poeta tedesco Franz Wilhelm von Gaudy arrivò in Italia e si fermò, come si legge nei suoi “Quadretti italiani”, a Passignano, “piccolo villaggio di pescatori sulla riva del lago di Perugia”.

Dopo essersi sistemato in una locanda il poeta, con l’aiuto  di un “rozzo garzoncello dagli occhi neri”, salì fino al castello, e poi su per la torre, scoprendo il panorama sul lago:

“Il mio occhio rimase abbagliato da quel mar diffuso d’oro che dal fondo s’agitava, scintillava, fiammeggiava; i suoi flutti, ondeggiando, portavano riflessa l’immagine rilucente del sole che già tramontava, staccavano dalla sua corona degli spruzzi lampeggianti e li mandavano cullando alle onde vicine, finché si sperdevano al piede dei monti e delle colline verdeggianti, che graziosamente contornavano il lago”.

Più avanti, nell’appassionata descrizione, von Gaudy ricorda anche le tre isole del Trasimeno, l’antica torre di Monte Ruffiano, il “sorridente” Monte del Lago e i campanili di Montalera “rischiarati dalla luce della sera”.

J. B. C. Corot, Il Velino all’uscita del lago di Papigno, 1826

I giorni a seguire il poeta, diretto a Roma, si fermò a Terni e visitò le maestose cascate del Velino (per lui “un gran serpe d’acqua”), che paragonò a un “drago spumante di rabbia”, la cui “bava copriva di schizzi la pianura e bagnava la fronte di chi stava ad ammirare”.

“A mala voglia mi staccai da quello spettacolo per tornare a casa”, continua von Gaudy.

E forse questo è ciò che accade anche ai turisti di oggi, quando si fermano a osservare le bellezze dell’Umbria.

Barbara Bracci