Unica Umbria

Storia & Storie

Roveja, ritorno al futuro

In tavola
Autore: Gambacorta, Bruno

Il Parco nazionale dei Monti Sibillini, con i suoi settantamila ettari di territorio da vivere e da assaporare, offre altri prodotti assai particolari: siamo in quella zona fra Umbria e Marche che ha saputo rinascere dopo tanti terremoti, ma ha vissuto con sofferenza la mancata industrializzazione, che ora invece si rivela una fortuna dal punto di vista turistico e ambientale.

Nessuno scheletro di capannoni abbandonati né ciminiere in mattoni ormai utilizzabili solo come punti di riferimento per il trekking: qui la natura è rimasta quella di un tempo, e si trovano ancora le pecore sopravissane e i loro formaggi, oppure un salame spalmabile delicatissimo come il ciaùscolo.

E poi, con un buon navigatore, vi capiterà di trovare un’altra frazione, Civita di Cascia, che con i suoi sessanta abitanti e nonostante il suo isolamento (si trova a dodici chilometri da Cascia e a 1200 metri di altitudine), si sta facendo conoscere con un suo prodotto unico.

Civita è ormai nota ai buongustai come la patria di un legume del quale si era persa la nozione: la roveja, detta anche rubiglio o corbello e, dai botanici, pisum arvense. Arrivata dal Medio Oriente, era coltivata in Europa già in epoca preistorica: pare sia stata, insieme a lenticchia, orzo e farro, la base dell’alimentazione umana nel Neolitico.

In Umbria fu usata dalle prime popolazioni autoctone e poi da Etruschi e  Romani. Diffusissima fino a pochi decenni fa, anche perché cresce spontaneamente (un’altra definizione è “pisello selvatico”), è scomparsa prima come foraggio, perché poco adatta ai nuovi allevamenti del dopoguerra, poi anche come alimento per l’uomo.

Da protagonista di piatti tradizionali come la farrecchiata, una polenta di legumi molto diffusa in tutta la zona del Parco, era diventata un ricordo sbiadito nei racconti dei più anziani.

Tanto è bastato, però, per far incuriosire due signore di Civita di Cascia, Silvana Cresci e Geltrude Moretti, che qualche anno fa hanno cominciato a rivalutare questo legume raro, dal seme di un colore che va dal verde scuro al marrone-grigiastro, e si posiziona dunque a metà strada fra lenticchie e piselli, anche se il sapore assomiglia più a quello delle fave.

Il seguito della storia lo racconta Lanfranco Bartocci, il presidente di Bioumbria, un’associazione di piccoli coltivatori biologici che la stanno facendo conoscere a un pubblico più ampio, di pari passo con l’aumento della produzione: «Alla fine degli anni Novanta si sono mosse le Università (Perugia e Ancona), i Gruppi di azione locale e alcuni contadini, per sperimentare e riprendere la produzione.

Nel 2006 è diventata oggetto di un presidio Slowfood e sta tornando lungo tutto l’Appennino umbro-marchigiano, in particolare sui Monti Sibillini, con campi anche a quote molto elevate.

Come la lenticchia di Castelluccio, la roveja è un legume molto resistente alle temperature più basse, ha un ciclo breve e non richiede molta acqua. L’unico problema è che si raccoglie in agosto, operazione faticosa talvolta per il caldo e sempre perché va fatta per lo più a mano.

Come tutti i legumi, è ottima dal punto di vista nutrizionale, per la presenza di proteine, carboidrati, fosforo, potassio, pochissimi grassi e molte fibre».

Come ricordano i quattro produttori del Presidio Slowfood, la roveja si può mangiare fresca oppure essiccata, in minestre e zuppe.

Può essere anche macinata a pietra, dando origine a una farina (dal lieve retrogusto amarognolo), che serve per fare la farrecchiata, una polenta tradizionalmente condita con un battuto di acciughe, aglio e olio extravergine, che si può mangiare anche il giorno dopo, affettata e abbrustolita in padella.

Qui vi proponiamo una zuppa, con più varianti, secondo la ricetta di Lanfranco Bartocci  (Fattoria dei Comignoli di San Martino in Colle, Perugia).

Zuppa di roveja, immagine da perugiatoday.it

ZUPPA DI ROVEJA

Occorrono:

  • una tazza di roveja (200 g).
  • 4 tazze di brodo vegetale o acqua (circa 1 litro).
  • sale marino grosso.
  • olio extravergine.
  • mezza cipolla, finemente tritata.
  • mezza costola di sedano, tagliata a cubetti piccoli.
  • una carota piccola, tagliuzzata fina.
  • un piccolo peperoncino secco (peperoncino rosso).
  • un cucchiaino di cumino macinato o schiacciato, o del coriandolo ( da aggiungere a fine cottura).
  • un’acciuga pulita, finemente tritata.

Mettete la roveja a bagno in acqua, mescolate, sciacquate e lasciate riposare per 12 ore (se non avete tempo, usate acqua tiepida per 5 ore, quindi scolate). In un tegame, scaldate un po’ di olio e aggiungete la cipolla. Cuocete per due minuti, quindi aggiungete il sedano.

Altri due minuti di cottura e si aggiungono la carota, il peperoncino e l’acciuga. Versate la roveja e fatela insaporire, poi ravvivate la fiamma con un mezzo bicchiere di buon vino bianco e aggiungete (fino a coprirla) il brodo vegetale, salando e lasciando cuocere per un’ora scarsa (se usate la pentola a pressione, basta mezz’ora).

Coprite e lasciate andare finché la roveja non acquista la consistenza preferita (meglio lasciarla leggermente consistente, vale a dire non troppo morbida).
La potete servire su piatto fondo, dopo aver messo un crostino di pane leggermente tostato e strofinato di aglio. Vellutate una parte di roveja, da versare sul fondo del piatto, quindi versate un mestolo di zuppa e guarnite il piatto con un rametto di maggiorana e un velo di buon olio Dop Umbria.
Io consiglio di provarla solo dopo averla fatta riposare e insaporire per qualche ora. Meglio sarebbe prepararla a mezzogiorno e mangiarla la sera, dopo averla scaldata leggermente.

ZUPPA DI ROVEJA CON QUADRUCCI ALL’UOVO

Si procede come per la ricetta precedente, ma si fanno cuocere insieme i quadrucci (senza scuocerli). Volendo, però, si possono cuocere i quadrucci separatamente, per aggiungerli poi a fine cottura della roveja (ultimi 10 minuti), aggiustando il sale. Se si fa riposare la roveja, usate sempre la cottura separata dei quadrucci.

ZUPPA DI ROVEJA CON BACCALÀ MANTECATO

Per il baccalà mantecato servono:

  • 400 grammi di baccalà alto e spugnato giusto (pulito delle spine e della pelle).
  • 200 grammi di olio Dop Umbria.
  • 1 dl di latte intero.

Pestate il baccalà su una tavoletta e mettetelo in una pentola piccola con il latte, a fuoco non ardente, rimestando con regolarità. Quando avrà assorbito il latte, versate l’olio centellinandolo e lavorate il tutto con continuità mediante il mestolo, perché si affini senza “impazzire”. Continuate fino a quando sembrerà cotto, poi servitelo quasi freddo, formando con dei cucchiaini alcune piccole quenelle, che, poggiate sopra la zuppa (preparata come da ricetta di base) riprodurranno dei petali di fiore di roveja. Con il baccalà rimasto e ormai freddo, servite poi dei crostini guarniti con fette sottilissime di tartufo crudo.

Bruno Gambacorta 

Web:

www.fondazioneslowfood.com

www.lavalnerina.it 

PRODUTTORI:

Silvana Crespi De Carolis
Cascia (Pg)- Località Civita, 7
tel. 0743 76430 – 329 0909352
silvanacrespi2017@gmail.com

Maria De’ Nicolo
Cascia (Pg)- Località Gubbiano, 6
tel. 0743 76392 – 392 5912489
biogubbiano@libero.it

Geltrude Moretti
Cascia (Pg)- Località Civita, 8
tel. 347 1873869
morettigeltrude@alice.it

Simone Vagni e Nanda Avanzi
Terreni Riuniti Alta Valnerina
Cascia (Pg)- Località Casali di Ocosce
Via Fontespinosa, 16
tel. 349 1070899 – 348 5408092
fam.vagni@libero.it