Unica Umbria

Storia & Storie

Il magico rito del sedano nero di Trevi

In tavola
Autore: Badolato, Marilena

Ogni ottobre, alla Sagra del sedano nero la piazza centrale di Trevi si riempie di cassette di legno ricolme di sedani dai gambi bianchissimi e dalle verdi fronde. Poiché da tempo immemore in autunno inizia la macellazione del maiale, la tradizionale mostra mercato del sedano è stata abbinata alla Sagra della Salsiccia. Così, oltre al sedano crudo “in pinzimonio”, si possono gustare delle saporitissime salsicce di maiale cotte sulla brace.

«Selluru de Canapina a cazzimperio / se te lu voi gustà come Tiberio» (Vincenzo Giuliani, poeta, pittore, fotografo trevano).

Il momento del sedano nero è ottobre, gustato fresco dall’orto, colto e mangiato, quando sprigiona tutto il suo aroma. Oppure “intinto” nell’olio di Trevi, o reinventato in nuove ricette. Non c’è un sedano eguale. Ottobre è il suo mese, regalato dai cicli lunari e dalla perizia dell’uomo. Tempi e ritmi della natura e dell’umana esperienza per diventare bianco che più bianco non si può, croccante dal cuore tenero, dal profumo intenso e soprattutto senza filamenti fibrosi, e per questo grande protagonista di svariate ricette di gusto.

Le fonti del Clitunno

NERO PERCHÈ VERDISSIMO Il sedano nero di Trevi è un’altra storia umbra di uomini e di passioni. La sua fiaba è ricca di magia, conoscenza, rigore, amore per la propria terra, caparbia costanza. Questo sedano è detto “nero” perché ancestralmente e fisiologicamente verde, verdissimo. Per diventare bianco avrà bisogno della mano dell’uomo, della magia della luna, della fertilità della terra e dell’acqua del fiume sacro a Giano, il Clitunno, cantato da poeti e scrittori latini e fino al Carducci e ritratto da tanti nostri artisti.

Dal matrimonio del dio bifronte con la ninfa Camesena, celebrato proprio sulle sponde del Clitunno, nacque, secondo il mito, la stirpe italica, che guardava così al passato e al futuro ed era comprensiva quindi di tutto il sapere e di tutto l’universo. Plinio il Giovane scriveva già di questi bellissimi e magici luoghi e lo stesso Caligola risaliva l’acqua col battello per interrogare i vaticini del Clitunno, identificato come divinità fluviale connessa all’attività oracolare e assimilato a Giove, rappresentato abbigliato della toga praetexta. Una sorta di “Giove etrusco”, il cui nome si ricollega al greco klèosi, “nome o gloria”, e klùo, “ho fama”, unito al latino amnis, “acqua”.

“Sedano” erano il sedano e il prezzemolo insieme. Dal greco antico sélinon che significava sedano e prezzemolo: petrosélinon  infatti era quel sedano che si sviluppava nei luoghi petrosi (pétra sélinon), il nostro prezzemolo odierno. Cresceva spontaneo anche tra le pietre etrusche di Perugia, selvatico fin dal V secolo a.C, addomesticato poi in tempi medievali nei nostri orti urbani.

In Italia, la varietà dulce  la troviamo sin dal XVII secolo, ma in particolare nel territorio di Trevi la sua coltivazione si diffonde grazie alle bonifiche realizzate nel secolo successivo dal cardinale Lodovico Valenti, vescovo di Rimini, il quale fece scavare un “alveolo”,  che prendeva origine dal fiume Clitunno in località Faustana, e terminava in località Pietrarossa, ambedue zone di reticolo idrografico. I primi documenti ufficiali di coltivazione risalgono al 1889, in una lettera inviata al sindaco da parte dei monaci benedettini dell’Abbazia di S. Pietro di Perugia, con la richiesta di semi di sedano nero, ma la sua coltivazione è sicuramente molto più antica, perché da sempre quello attorno alle acque del “sacro fiume” è terreno fertilissimo e ortivo.

Il sedano nero di Trevi

SEMINATO NELLA SETTIMANA SANTA Viene seminato la settimana santa e possibilmente la sera del venerdì santo, perché vuole la credenza che gli ortaggi seminati quel giorno crescano più rapidamente e resistano molto più a lungo prima di fiorire e produrre semi, come se la morte del seme e il suo rigenerarsi venisse a coincidere con la morte e la passione di Cristo e il suo surrexit.

Come bimbo creato, sarà poi seguito e coccolato e sempre irrigato con quell’“acqua di magia”. Persino i Romani conducevano i buoi a bagnarsi in queste zone per renderli più bianchi e adatti così ai sacrifici, regalando a questi luoghi il nome di Bovara.

Seminato con luna calante, come se la luce dell’astro potesse penetrare all’interno del suo cuore per donargli al momento giusto il giusto nitore, in realtà sarà poi il lavoro dell’uomo a modificarne l’aspetto nelle ultime settimane di produzione-gestazione: avvolto in strette fasce, come un neonato, perché diventi più dritto e più lungo, anche un metro, e interrato sino alle foglie, perché sia bianco, profumato e aromatico. Perizia di una procedura rigorosa di semina dei “sellerari”: un tempo “a spaglio” e agitando velocemente le dita, oggi in vivaio, con i semini introdotti in buchette aperte con un cavicchio di legno d’ulivo.

Dopo essere stati  trapiantati su terreno concimato e irrigati giornalmente, le ultime 2-3 settimane di gestazione-coltivazione i sedani vengono interrati sino alle foglie. Conoscenza, tradizione, magia, ritualità, perizia di pochi produttori che ancor oggi creano quello che la natura da sola non aveva creato. Grazie al loro lavoro, pazienza, tenacia, lungo e continuo processo di conservazione, abbiamo ancor oggi il sedano nero di Trevi, un ecotipo selezionatosi localmente. E grazie anche al terreno argilloso, umido e fertilissimo: quella striscia dove un tempo, nel Medioevo, si coltivava la canapa.

Pinzimonio

SPOSATO CON L’OLIO DI TREVI Diuretico, digestivo, ricco di sali minerali e vitamine, il sedano nero di Trevi unisce la croccantezza di un sedano bianco al profumo intenso di un sedano che nasce verde intenso. Un sedano dalle coste bianche e molto lunghe, privo dei fastidiosi fili e con un cuore polposo e tenero, gustato in pochi esemplari, in ricette più tradizionali o più innovative.

Sposato da sempre tradizionalmente con l’olio d’oliva che racconta di Trevi e disegna il suo profilo di collina a uliveti. Una cultivar pregiata e “coccolata”, perché il sedano è ritenuto afrodisiaco per quegli atavici legami e recondite corrispondenze legate alla fertilità umana. Tradizionalmente gustato “intinto”, bagnato in quella ciotola che conteneva e contiene questo olio profumato di erba, di sole e di vento e piccante in gola. “Pinzimonio” è chiamato in Italia, “lu cazzimperio” da queste parti e anche a Roma, nelle Marche, in Abruzzo e in altre zone centro-meridionali che usano il termine cazzimperio per definire quel condimento di olio, pepe e sale nel quale intingere verdure crude.

In un suo componimento il poeta dialettale romano Trilussa cita l’Osteria del Cazzimperio nella quale si recò il generale incaricato dall’imperatore Nerone di investigare sugli umori dei suoi sottoposti: «E, lì, se tinse er grugno de carbone, / se messe una giaccaccia e serio serio / agnede all’osteria der Cazzimperio / framezzo a li gregari de Nerone».

IN APERTURA DI PRANZO Cazzimperio per pinzimonio, ed è suggestiva la proposta dello storico Piero Camporesi, che ricorda come in romagnolo per cazzimpevar si intenda proprio il “pinzimonio”, secondo questa etimologia popolare: olio e sale con l’aggiunta di pepe per un effetto afrodisiaco, e “imperio” deriverebbe proprio da “in pepe (pevar)”. Servito sempre, o quasi, in apertura di un pranzo, come elemento profumato e invitante, nasconde anche quel fascino lento, che ci seduce e ci attanaglia, e “imperiosamente” ci costringe ad afferrare qualcosa, inzupparlo dentro una ciotola e gustarlo avidamente.

Ne “lu cazzimperio” allora il fascino sta proprio nel bagnare, l’intingere più volte quella lunga, costoluta parte di sedano nero croccante in una larga ciotola di suadente e armoniosa fluidità. E tanto più buono è l’olio e più il profumo erbaceo lo contraddistingue – da far immaginare in bocca le distese olivate appena dietro l’angolo – e più il connubio è vincente e voluttuosamente appagante.

Panorama di Trevi

PRESIDIO SLOW FOOD Ecco perché Trevi, il suo olio d’oliva e il suo sedano nero sono una ricetta imprescindibilmente unica. Ed ecco spiegato anche il motivo per cui, accanto all’olivicoltura che disegna il paesaggio e che rende pregiato da sempre l’olio coltivato in queste zone, tutto il paese custodisce gelosamente la storica cultivar del sedano nero, un prodotto tipico per il genotipo, per l’ambiente, per la tradizione culturale, per le sue caratteristiche genetiche, agronomiche e di gusto. Cultivar salvata come Presidio Slow Food, perché nessuno dimentichi.

Trevi, affacciato sulla valle spoletana, è un profilo inconfondibile dall’esterno e un “design d’interni” di viuzze, case, belvedere, acciottolati, che non smette mai di stupire. Un verde pennellato tra gli ulivi e la valle, un dedalo di viottoli scoscesi che conducono giù a perdifiato fino al mare d’ulivi o accanto a olmi dove un tempo la vite del Trebbiano si abbarbicava in un matrimonio d’amore: «Semiputata tibi frondosa vitis in ulmo est» (Virgilio, Egloghe II,70).

Lo sguardo qui non conosce stanchezza, perennemente indeciso se perdersi in dettagli o godersi l’insieme di una vista rasserenante che cangia continuamente dal verde all’argenteo, basta infatti un refolo di vento che il riflesso cambi e racconti di storie ancestrali, ma ancor vive se il sogno non muore.

 Marilena Badolato