Unica Umbria

Storia & Storie

Le tracce colorate dello zafferano

In tavola
Autore: Boini, Rita

In Umbria lo zafferano viene coltivato in piccoli appezzamenti, in media compresi tra 100 e 300 mq, con una resa di circa 70-80 grammi di spezia per 100 mq. Per ricavare un grammo di prodotto finito occorrono 150 fiori. Non deve meravigliare il valore con il quale lo zafferano di qualità viene immesso sul mercato: una  quotazione perfettamente in linea con le valute di epoca medioevale, quando l’acquisto di un cavallo veniva pagato con circa 500 grammi di zafferano.

Violetto, rosso, giallo: i colori dello zafferano o croco (Crocus sativus L.), unica spezia coltivata in Italia, sono perfettamente in linea con i suoi legami antichissimi con l’area mediterranea, dove, come testimoniano resti archeologici, viene coltivato da millenni.

Il documento più antico relativo allo zafferano in Umbria viene ritenuto quello sull’acquisto di un’uncia cafrani, risalente al 2 febbraio 1226: è una nota nei libri contabili del monastero di Santa Maria di Valdiponte (abbazia di Montelabate, vicino a Perugia).

La produzione dello zafferano in Umbria è in ogni caso ampiamente attestata a partire dal XIII secolo. Troviamo la preziosa coltivazione citata nello Statuto del Comune di Perugia del 1279, con riferimenti al contado perugino, a Città della Pieve, allora Castel della Pieve, e Montone. E ancora documenti e storie curiose ne attestano la presenza, anche nella quotidianità, nello Spoletino, nella Valnerina, nel Folignate, nell’Eugubino-Gualdese, negli antichi statuti del Comune di Marsciano, nel Trasimeno e nell’Orvietano, ma anche in altre zone.

Campo di zafferano

LA «RICOLTA DI SAFFARANO» A Città della Pieve il valore attribuito alla produzione del “croco” accrebbe nei secoli successivi al XIII, come documentano le dettagliate ordinanze emanate dalle autorità locali sulla coltura e la ricolta di saffarano. Quest’ultima era severamente regolata dagli statuti della “gabella di Castel della Pieve” (1537-1539) che imponevano a chiunque raccogliesse zafferano nel territorio l’obbligo di denunciare al Comune la quantità presa, pagando poi entro l’8 novembre la tassa prevista.

La grande attenzione rivolta alla produzione di zafferano nel comprensorio di Castel della Pieve era di certo legata all’uso dei pigmenti che si potevano ricavare dalla pianta, utilizzati per la tintura di tessuti di lana, velluto e seta e di filati, di cui a lungo la città fu centro di produzione. Il menzionato Statuto di Perugia già dal 1279 vietava nell’allora Castel della Pieve la piantagione dei bulbi ai forestieri e vietava ai proprietari terrieri, sia perugini che residenti nel contado, di locare terreni ai forestieri per piantare lo zafferano. Anche il notaio che avesse redatto l’atto sarebbe stato punito.

ZAFERAMINE E SPELTA Nell’Eugubino gli atti depositati negli archivi pubblici restituiscono piccoli grandi elementi circa il fatto che da sempre, anche in queste zone, lo zafferano è stato considerato una merce preziosa. Il 21 aprile 1379 il Camerlengo del Comune di Gubbio pagò la grossa somma di 36 fiorini d’oro e 27 soldi per l’acquisto di cera, confetti, “zaferamine” e spelta da offrire al cardinale di Perugia in occasione della sua visita a Gubbio.

Il 17 ottobre 1443 il Camerlengo acquistò presso Antonio, speziale, candele di sego e di cera, spezie, pepe e “zafarano” e corde per i cavalli del duca Oddantonio, per i famigli di stalla e per i garzoni di corte, come da bollettino del fattore ducale Nicola. Poco più di due mesi dopo, il 20 dicembre, nuovo acquisto, presso l’aromatario Paolozzo, di confetti, cera lavorata, pepe e “zaffarano”: in questo caso la compera era stata fatta per il passaggio presso Costacciaro della magnifica signora Costanza da Varano, che l’anno dopo avrebbe sposato Alessandro Sforza. L’11 febbraio 1605 furono fatti i conti della bottega di Francesco Nicolelli.

Tra le numerose merci elencate si trovano anche sei once di zafferano e una libra e mezzo di “zafferano greco”, il cui valore è, però, nettamente inferiore al primo. Tra il 1788 e il 1793 Domencio Cecchetti, speziale dell’ospedale, acquistò numerosi prodotti per la sua bottega tra i quali lo zafferano: gli acquisiti furono fatti presso il negozio Balducci .

GEMME IN CAMBIO DI ZAFFARANO In Valnerina gli statuti di Cascia parlano «Della pena di chi darrà danno nel croco overo zafferano», mentre in alcuni documenti del Cinquecento è scritto di scambi di zafferano con gemme preziose ed è certo che i commercianti casciani commerciavano zafferano, oro e gioielli in tutta Italia.

A Cascia mercanti ebrei controllavano, almeno nel Quattrocento, il mercato, smerciando zafferano in grandi quantità a Perugia, Spoleto, Civitanova, Camerino e perfino all’Aquila. Ma le testimonianze arrivano da tutto il territorio dello zafferano di Cascia.

Lo Statuto di Norcia dispone che «Nessuno della terra di Norcia o suo distretto o forastiero in esso abitante potesse comperare o preparare croco o zafferano a richiesta di alcun forastiero, né ricevere pecunia per tale effetto, restando comminata la pena di libre cento di denari a ogni contravventore, per ciascuna contravvenzione», ciò per lasciare ai nursini i profitti di questo importante mercato, e, spigolando per documenti, a fine Cinquecento si trova che la professione di “incettatore” di zafferano, veniva praticata ad Agriano, Avendita e Colle di Avendita.

Cipriano Piccolpasso, nella sua relazione del 1565 al governatore pontificio di Perugia, Bussio, scrive sugli abitanti di Cerreto che «esercitano questi huomini di andar per il mondo vendendo il zafferano et pepe et altre speziarie…» e che i mercanti  di Cascia, tra l’altro: «et vanno vendendo pepe et zafferano et altre aromatarie con il quale esercitio in poco tempo fanno di buone facultà» .

IL POEMA “DE CROCI CULTU” Pierfrancesco Giustolo, letterato spoletino vissuto alla corte dei Borgia, è autore di  De Croci cultu, poemetto pubblicato a Roma nel 1510: tra personaggi mitologici e storie, Giustolo, nel suo colto poemetto, ci fornisce notizie sulla coltivazione dello zafferano. L’opera ha una rilevante importanza storica in quanto attesta come lo zafferano venisse già coltivato a quel tempo in Umbria e fornisce utili indicazioni anche sulle terre più adatte per questa coltura, sconsigliando quelle grasse o cariche di creta e indicando come migliori quelle delle valli sassose e degli erti poggi che si trovano nella zona di Spoleto, nei colli che vanno da Trevi a Spoleto e da Spoleto a Giano dell’Umbria.

Il Comune di Spoleto ne faceva omaggio a importanti personaggi: il vescovo di Worcester, inviato da Pio II per ingraziare Spoleto alla sua politica, ricevette zafferano e tartufi; Papa Giulio II in visita a Spoleto ne ebbe in dono una grande quantità tanto da esclamare «hoc fecisti munus papale»; il Papa Eugenio IV se ne fece regalare gran quantità quando la città fu occupata dalle truppe del Piccinino. Tra le molte testimonianze che attestano l’importanza della coltivazione dello zafferano nel territorio di Spoleto la più significativa è l’introduzione di una gabella nel 1373 “ponderis floreni et zafaraminis” per la pesatura con bilance di precisione dei fiorini e dello zafferano.

Di particolare interesse tra gli artigiani e commercianti il mestiere dei “zafaranari”, dichiarato dalla famiglia di mastro Possidonio o Pesedonio dalle Grote, che chiaramente si riferisce alla produzione della spezia, particolarmente fiorente nelle campagne spoletine almeno fino al Cinquecento, come confermato dallo studioso Fabrizio Antolini e dallo stesso Giustolo. Interessante inoltre nel Registro delle Gabelle del Comune di Spoleto, per il 1461, la Gabella zaffaraminis.

TASSE E ASTUZIE DI ALTRI TEMPI A lungo lo zafferano, come ci raccontano numerosi documenti, fu gravato da pesanti tasse doganali per il suo grande valore, tanto che in molti casi questa spezia veniva utilizzata come moneta. Molte le regole che lo proteggevano, legate in alcuni casi a un mondo ormai scomparso: in alcuni statuti erano previste pene per i proprietari di maiali che fossero andati nelle coltivazioni a scavare per cibarsi dei bulbi, di cui pare fossero particolarmente ghiotti. Tanti, ci raccontano le antiche carte, i furti di zafferano da campi e abitazioni e anche le truffe.

Tra le preferite dai cerretani quella del “cagnabaldi”, che, attestata a fine Quattrocento, ricorda molto certe tecniche dei nostri giorni: consisteva nel sostituire un sacco di zafferano appena acquistato da uno speziale con uno identico pieno di fieno, che veniva lasciato in pegno con la scusa di cambiar moneta. Altre truffe avevano come protagonisti gli abitanti di Cascia. E sempre in quegli anni si racconta di un pretore di Cascia, che prestava soldi ai cittadini con la complicità della moglie si faceva pagare gli interessi, a tassi non proprio bassi, in zafferano.

Fiori e pistilli di zafferano

LA SCOMPARSA MISTERIOSA All’improvviso le coltivazioni spariscono, senza apparente spiegazione. Non è infatti individuabile una univoca motivazione, ma una serie di concause, culturali ed economiche i cui effetti si sono manifestati sullo scorcio del secolo XVII: il successo dei nuovi prodotti agricoli di provenienza americana che modificano sostanzialmente le antiche abitudini alimentari; l’affermarsi, a partire dalle mense aristocratiche, della cucina francese, che fa largo uso di salse per arricchire i cibi e riduce drasticamente l’utilizzo delle spezie; le lotte per il monopolio del mercato dello zafferano.

In particolare, per questo ultimo aspetto, a fine Cinquecento la Camera di Norimberga, la più importante piazza nord europea per lo zafferano, va all’attacco del mercato aquilano, protestando per intermediari e adulteratori che turbano il mercato, dando inizio alla fine, seppure temporanea, di quella attività commerciale. Negli stessi anni Firenze – dove lo zafferano veniva impiegato in gran quantità per l’arte tintoria – abbandona San Gimignano per rifornirsi dai mercanti genovesi, che acquistavano lo zafferano in Spagna a prezzi più bassi. Il dubbio è che l’eccellente ma costoso zafferano umbro sia finito anche lui vittima di una guerra dei prezzi e degli interessi internazionali.

LA RISCOPERTA Dopo un lungo periodo di silenzio, in Umbria si torna a parlare di zafferano. Coltivatori, agronomi, storici si interessarono con emozione e curiosità allo zafferano e alla possibilità di reintrodurlo nella regione. Dopo prime indagini maturate in campo universitario nei primi decenni del secolo scorso, alla fine degli anni ’90 era pronto il primo piano di coltivazione e il Dipartimento di Arboricoltura aveva messo a punto un campo sperimentale, con il sostegno e la collaborazione di soggetti privati e di strutture pubbliche. Fu subito amore per questa spezia, la cui coltivazione richiede fatica ma regala grandi emozioni, anche solo per la straordinaria bellezza della fioritura.

Fioritura dello zafferano

SEI ASSOCIAZIONI DI PRODUTTORI Agli inizi del terzo millennio prendevano forma le prime associazioni di produttori e le prime coltivazioni reali. Oggi in Umbria sono presenti sei associazioni di produttori che spaziano dall’area del Lago Trasimeno fino alla Valnerina: Associazione produttori Zafferano del Ducato; Associazione produttori Zafferano di Spoleto; Associazione Terre d’Arna; Associazione Zafferano di Cascia, Zafferano Purissimo dell’Umbria; Associazione Zafferano di Gubbio e Consorzio Il Croco di Pietro Perugino, Zafferano di Città della Pieve – Alberto Viganò.

Parte delle associazioni e consorzi dello zafferano umbro e tre Comuni, Città della Pieve, Cascia e Gubbio (quest’ultimi in via di definizione), sono tra i soci della Associazione Produttori Zafferano Italiano, una associazione senza scopo di lucro, fondata  insieme alla Associazione Colline Fiorentine di Firenze e Coop Crocus Maremma di Grosseto, nell’agosto 2012 proprio a Perugia, che lavora per una tutela del prodotto nazionale valorizzando ed esaltando comunque le singole realtà territoriali. L’associazione ha un proprio marchio territoriale e logo per tutto l’ambito nazionale, un suo statuto, un rigoroso disciplinare di produzione, un regolamento di uso del marchio. Applica un sistema democratico di partecipazione degli imprenditori agricoli, ai fini preminenti di una tutela e promozione dello zafferano prodotto in Italia secondo una storia che si tramanda di generazione in generazione, ispirandosi al principio della massima tracciabilità a garanzia del consumatore.

Rita Boini