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Storia & Storie

Ad Assisi, cercando Francesco

Diario di viaggio, Luoghi
Autore: Lunghi, Elvio

Sono molti i luoghi, qui ad Assisi, legati alla memoria di san Francesco. Sono molti i luoghi sacri, le chiese che ne conservano un ricordo diretto: perché lì è nato, perché lì è vissuto, perché lì è morto, perché lì é sepolto. Lo affermano antichi scrittori, dunque è normale che le pareti di questi luoghi ne ricordino parole e gesta. A istruzione, edificazione di visitatori occasionali. Ma anche come principio identitario per quanti hanno scelto di vivere in questi luoghi. Per custodirli. Perché queste sono le nostre radici. Perché da queste pietre trae linfa la nostra scelta di vita cristiana. Tanti uomini tante storie, ma un filo rosso comune: Francesco.

 

Una veduta di Assisi, alle falde del monte Subasio. In primo piano i contrafforti della basilica di San Francesco (foto: visit-assisi)

 

Fosse per me, ne cercherei le tracce che partono dalla casa, a quattro passi dal tempio di Minerva. Escono dalla città per la porta di Moiano. Toccano il piano alla fonte Galletta, dove era l’ospedale dei Crociferi. Seguono la via dell’Arce fino alla chiesa della Maddalena, dove erano un tempo i lebbrosi. Da qui verso Oriente si raggiunge il Rivotorto. A Occidente la Porziuncola.

Al ritorno si può passare per San Damiano, dove era Chiara un tempo. Si sale fino alla chiesa di Santa Chiara, dove c’è Chiara ora. Infine San Francesco, con la sua tomba e il nostro cuore. Ci sono altre pietre che gridano la presenza di Francesco ad Assisi.

La cattedrale di San Rufino, intotolata al santo patrono della città

San Rufino, il sagrato della cattedrale, dove teneva le sue prediche con piglio da istrione. E poi c’è la chiesa di Santa Maria Maggiore, che fu ricostruita “al tempo del vescovo Guido e di frate Francesco”, come spiega una lapide all’esterno dell’abside, e come era dipinto sulle pareti interne accanto a un ritratto di Maria.

Lì accanto c’è il chiostro della prima cattedrale e la residenza vescovile. È questa la vera casa di Francesco entro le mura della sua città. La casa della vita, una volta uscito dalla casa paterna.

“Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Mt. 10,37).

Tra queste pietre Francesco rinunciò al padre e alla madre. Queste pietre lo accolsero gravemente malato negli ultimi mesi di vita. Ne ascoltarono i versi finali del Cantico di frate Sole, dedicati a “sora nostra morte corporale”. Da qui partì per l’estremo viaggio alla Porziuncola. Sotto queste finestre, nella chiesa di San Giorgio, fu riportato il suo corpo una volta defunto. Queste pietre sono santificate dallo spirito di Francesco, non meno delle chiese di San Damiano e della Porziuncola. Non meno della basilica papale di San Francesco,che ne accoglie il corpo.

I luoghi di Francesco di Assisi propongono immagini legate alle tappe della vita, eseguite in tempi differenti con il ramificarsi impetuoso di un Ordine sbocciato da un solo ceppo.

Il complesso architettonico di san Francesco, con le entrate alla Basilica Inferiore e superiore (se ne scorge la sommità del portale a destra, oltre la scalinata)

Partiamo dalla chiesa di San Francesco. I pellegrini che entravano nella chiesa inferiore, per visitare la tomba del santo, erano accompagnati nel loro percorso dalle storie della vita di Francesco sulle pareti a mezzogiorno e dagli episodi della passione di Cristo a tramontana.

Ai tempi di Niccolò IV, sullo scorcio del XIII secolo, queste storie furono irrimediabilmente distrutte e la vita di san Francesco fu riproposta alle pareti della chiesa superiore, come memento rivolto ai frati, che dovevano tenere sempre davanti agli occhi l’esempio del santo fondatore e i luoghi delle sue gesta, seguendo il racconto di Bonaventura da Bagnoregio. Instancabile vi è il ricordo di Assisi: l’omaggio del semplice, il dono del mantello, il sogno del palazzo, il colloquio con il Crocifisso in San Damiano, la rinuncia ai beni paterni, il sogno d’Innocenzo III e via seguendo.

Sopra, il tempio di Minerva in Piazza del Comune. Di arte augustea, nel Cinquecento venne convertito in chiesa. Sotto, il tempio di Minerva dipinto da Giotto nelle storie di San Fancesco (Basilica superiore)

Episodi accaduti ad Assisi, ma assai generici nell’ambientazione. Come l’episodio della rinuncia, che si svolge in un non luogo che non somiglia affatto alla piazzetta antistante la chiesa di Santa Maria Maggiore. Mentre l’omaggio del semplice, che apre la serie, è ambientato nella Piazza del Comune, davanti ai palazzi del Comune, identici persino nei colori dei materiali.

La Legenda Maior di san Bonaventura non precisa dove si svolse l’omaggio. Scegliendo la Piazza del Comune, fu privilegiato il legame tra Francesco, i suoi frati, e il governo comunale. È una scelta sintomatica: se l’omaggio fosse stato ambientato nella piazza antistante il palazzo vescovile, o nel sagrato della cattedrale, l’immagine che ne avrebbe ricavato il pontefice, dall’alto del trono papale, avrebbe privilegiato il ruolo che le autorità religiose, vescovo o canonici, avevano svolto nella scelta di vita cristiana compiuta da Francesco.

S’intese invece proporre una precisa raffigurazione delle sedi del Comune, Tempio di Minerva, Torre del Popolo, Palazzo del Capitano, a significare come Francesco avesse preso il posto dei santi patroni Rufino e Vittorino, e come la chiesa a lui dedicata non fosse soltanto cappella papale e caput et mater dell’Ordine dei frati Minori, ma anche la sede di un culto civico.

Come per ricordare ai pontefici in visita ad Assisi, o ai frati residenti, i legami profondi che univano Francesco al suo luogo natale: “Vir erat in civitate Assisii, quae in finibus vallis Spoletanae sita est, nomine Franciscus“.

L’episodio che chiude il ciclo è ambientato a Roma, per la Colonna Traiana che vi compare. Numerosi episodi hanno per protagonista un pontefice: Innocenzo III, Onorio III, Gregorio IX. Decisamente, la chiave politica è più importante delle quattro chiavi dell’esegesi scolastica.

La Porziuncola, una piccola chiesa all’interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli, è tra i luoghi francescani più importanti: tra le sue mura, san Francesco comprese la sua vocazione, accolse santa Chiara e i primi frati

Se da San Francesco ci spostiamo alla Porziuncola, troveremo un contesto profondamente differente. Con la costruzione di una basilica rinascimentale, dell’antico santuario troveremo due cicli narrativi con lo stesso identico soggetto: una pala d’altare datata 1393 e un ciclo di affreschi datato 1516. Il tema è la straordinaria origine dell’indulgenza del Perdono, che ricorre il 2 agosto di ciascun anno.

I pittori vi seguirono una fonte letteraria, che non è una bolla pontificia e neppure il racconto di un frate, ma una fiaba intensamente poetica che fu scritta dalla penna di un laico, Michele da Spello, nella quale si evitava il confronto con situazioni verosimili e s’introducevano creature fantastiche e figure emblematiche, pur lasciando l’ambientazione vera sin nei minimi dettagli.

È quanto appare negli affreschi di Tiberio di Assisi della Cappella delle Rose, dove la Porziuncola è riprodotta nei dettagli più minuti. La chiesa e le cappelle che la circondano. È la Porziuncola ma potrebbe essere Gerusalemme, o anche il Paradiso. Un luogo popolato da creature angeliche, come amava ripetere Francesco. A volere la pala della Porziuncola fu il guardiano del convento fra Francesco da Sangemini, per significare la dimensione di santuario del Perdono conquistata dalla Porziuncola, in assenza del corpo del santo.

Se ci spostiamo a Rivotorto, nel 1653 Cesare Sermei dipinse su commissione del ministro generale Michele Catalano sedici tele con il racconto della vita di Francesco nel luogo di Rivotorto. Quattro di queste tele furono distrutte nel terremoto del 1853. Nessuna delle dodici tele superstiti ritrae episodi della vita di Francesco precedenti l’arrivo a Rivotorto, ma è probabile che ve ne fossero pure di quelle che ritraevano l’incontro di Francesco con il lebbroso, o il colloquio con il Crocifisso all’interno di San Damiano: episodi che hanno una stretta attinenza con il cono panoramico di Rivotorto, in fondo al quale compare la città di Assisi in vetta a un colle.

Le cornici dei quadri riportano frasi riprese dalle fonti letterarie utilizzate per le invenzioni iconografiche: dalla Legenda Maior di san Bonaventura, alla Leggenda dei tre compagni, alla Cronaca dei XXIV Generali, fino agli Annales Minorum di Luca Wadding.

I testi più antichi furono riscoperti da Paul Sabatier sullo scorcio del XIX secolo, nel dare inizio alla questione francescana partendo proprio dall’esame delle fonti. Il soggetto nei quadri di Sermei è la vita reale dei frati nel luogo di Rivotorto: la penitenza dei frati, la carità dei frati, la preghiera dei frati, la fame dei frati. Francesco fa loro da maestro, per ogni situazione mostra loro come fare, traendo ispirazione dal racconto delle leggende biografiche più antiche. Tutto vero, nulla d’inventato: austeri fioretti delle opere e dei giorni.

Il convento e la chiesa di San Damiano (foto: Umbria Tourism)

Ripercorrendo a ritrovo la vita di Francesco, la tappa successiva arriva a San Damiano: luogo dove Francesco abbracciò una vita da penitente, ma anche dimora di Chiara e delle Damianite.

I frati Minori vi entrarono nel primo decennio del Trecento, con Corrado da Offida e i francescani spirituali. A questi anni risalgono gli affreschi superstiti in fondo alla chiesa, che riproducono alcuni episodi della conversione di Francesco nella chiesa di San Damiano: Pietro Bernardoni cerca Francesco nella campagna di Assisi, Francesco dona il suo denaro a un prete, la preghiera di Francesco davanti al Crocifisso, san Francesco in estasi nella chiesa di San Damiano.

Una caratteristica di questi dipinti è la sintonia tra storie dipinte e luoghi reali. L’episodio dell’arrivo di Pietro Bernardoni a San Damiano ha sullo sfondo la città di Assisi come si vedrebbe dalle finestre del convento dei frati. L’episodio di Francesco che dona il suo denaro a un prete è dipinto all’esterno della nicchia al cui interno il prete gettò il denaro ricevuto da Francesco. L’episodio del colloquio di Francesco con un Crocifisso è dipinto all’interno della stessa chiesa dove Francesco sostò in preghiera.

Le immagini dipinte acquisteranno un valore di reliquia per essere state eseguite sulle stesse pareti che avevano assistito agli avvenimenti nel loro svolgersi.

Già in un documento del 1398 viene citata una piccola chiesa costruita sul luogo che la tradizione identifica come “la casa paterna e natale di san Francesco d’Assisi” che era un’importante tappa dei pellegrinaggi sulle orme di Francesco d’Assisi. Nel 1610, per volere del re di Spagna Filippo III, fu fatta costruire una nuova chiesa in stile barocco al posto di quella medievale

Il viaggio a ritroso prosegue alla Chiesa Nuova. Una tradizione vi riconosce la casa paterna di Francesco, pur essendo stata costruita quando il Cristianesimo diventò religione universale, e quando i frati Minori trovarono nuovi martìri in paesi lontani: in Fiandra, in Marocco, a Ceuta, in Giappone.

L’altare principale conserva un dipinto di Cesare Sermei che ritrae il sogno di Francesco. Tradizione vuole che il presbiterio fosse costruito dove era la camera da letto di Francesco giovane uomo. Da qui la scelta del soggetto, con Francesco che dorme e sogna. Sogna Cristo risorto che gli indica una chiesa colma di bandiere crociate. Sogna se stesso mentre divide il suo mantello con un povero, a indicargli che “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla” (1 Cor. 13).

Il nostro viaggio si chiude nella Sala del Trono del Palazzo Vescovile. L’edificio fu più volte ricostruito nel corso di una storia millenaria, ma conserva al suo interno pareti in pietra delle mura romane, porte del periodo longobardo, mosaici pavimentali romanici, affreschi trecenteschi e immagini barocche, che vanno dalle origini romane fino all’età contemporanea.

La Sala del Trono conserva al suo interno alcuni episodi della vita di Francesco, commissionati da differenti vescovi nel corso del Seicento. Lo stemma al centro della volta appartiene al cardinale Paolo Emilio Rondinini, vescovo di Assisi dal 1653 al 1668, che fece decorare la Galleria dei Vescovi con figure di Virtù dovute a Giacomo Giorgetti. L’affresco con la concessione dell’indulgenza del Perdono sopra il baldacchino del trono fu dipinto al tempo del cardinale Ludovico Giustiniani, vescovo di Assisi dal 1670 al 1685, come si vede dallo stemma con la torre e il drago nel plinto di una colonna alle spalle di Francesco. L’affresco è attribuibile a Giovanni Andrea Carloni, pittore genovese chiamato da Ludovico Giustiniani ad Assisi per decorare la cappella del Sacramento in San Rufino.

Spogliazione di Francesco (Palazzo vescovile)

L’affresco con la spogliazione di san Francesco sulla parete meridionale fu dipinto al tempo di Marcello Crescenzi, vescovo di Assisi dal 1591 al 1630, come si legge nell’epigrafe sottostante. Di antica famiglia romana, poco prima di morire Marcello Crescenzi aveva portato ad Assisi Orazio Riminaldi, pittore pisano in precedenza attivo a Roma e poi tornato a Pisa dopo l’intermezzo umbro, con l’intenzione di affidargli la decorazione della sacrestia inferiore di San Francesco, lavoro poi eseguito da Cesare Sermei.

Per la confraternita di Santa Caterina di Assisi Riminaldi dipinse nel 1626 un magnifico stendardo processionale conservato nel Museo della Cattedrale. Probabilmente negli stessi anni dipinse anche la storia della spogliazione di Francesco nella Sala del Trono.

Nel Museo della Cattedrale è esposto un quadro con san Francesco che benedice la città di Assisi, tela di Cesare Sermei proveniente dal Palazzo Vescovile, dipinta al tempo di Tegrimio Tegrimi, vescovo di Assisi dal 1630 al 1641.

L’affresco nella Sala del Trono, con il giovane Francesco che s’inginocchia ai piedi del vescovo Guido, dopo aver restituito al padre Pietro gli abiti che indossava, è stato creduto dello stesso Sermei, o piuttosto una replica ottocentesca di un originale perduto nel corso del terremoto del 1832. Rivedendo il dipinto, mi sento di doverne restituire l’invenzione a Orazio Riminaldi ai tempi del vescovo Crescenzi, nonostante gli estesi rifacimenti di alcune figure, come i due personaggi sulla sinistra, in seguito ai danni provocati al palazzo nel corso del terremoto del 1832, quando furono gravemente danneggiati anche gli altri affreschi alle pareti della sala, che si presentano anch’essi estesamente ridipinti. Bellissime sono alcune figure, come il gruppo del vescovo Guido che accoglie a braccia aperte il giovane Francesco, come una madre prenderebbe in braccio un figlio. O Pietro che si allontana furibondo sulla destra, stringendo al seno soltanto il fardello dei panni.

Soltanto il fardello, per la scelta di Francesco di chiamare Padre il Padre nostro che sei nei cieli.

Elvio Lunghi