Unica Umbria

Storia & Storie

Amelia sotto lo sguardo di Selene

Diario di viaggio, Luoghi
Autore: Frezza, Igea

Il “paese” per me riassume ogni luogo d’intimità collettiva: la piazza, la chiesa, il vicolo, il mercato, il teatro, la scuola, la fiera, il camposanto, il grido di un ambulante, un proverbio, il ritornello di una canzone e tutto quello che ha lo stemma del lavoro e della fantasia dell’individuo.

Uno sguardo panoramico su Amelia, tra le colline della provincia di Terni

 

Le mie “ombre” non hanno la pretesa di risuscitare il teatro di cui si movimentava ogni giorno, dall’alba al tramonto, la città al tempo dei lampioni, desidero soltanto ricordare, poiché temo che Amelia venga condannata dalle astuzie della Storia a subire le infezioni della civiltà del rumore.

Cercherò allora di accordare la musica, famosa e un poco paurosa dell’universo con quella di uno zampillo di una fontana, la vecchia fontana di Piazza XXI Settembre, dove le bestie, nei giorni di fiera, si toglievano la sete e, quando quelle non c’erano le ragazze sedevano sul bordo grigio per osservare il passeggio e per essere osservate.

La fontana non c’è agli occhi del visitatore ma può sentire ancora lo scorrere dell’acqua e il rumore delle persone e degli animali in movimento.

La fiera era l’insieme delle voci della piazza, delle presenze umane, del modo antico di fare la spesa, offriva i segreti dei mestieri, della tecnica del gesto e della parola, ormai si può collegare al mercato cellofanato.

Nella fiera c’era l’umile religio rusticorum tutta calata nella terra, in una dimensione di sacralità popolare e i prodotti esposti avevano rapporti strettissimi col sole, con la battaglia dei mesi e delle stagioni. Incuriosivano nella fiera la “sonnambula”, figura misteriosa sempre seduta su un’alta seggiola e lo “scrivano”, che davanti a un tavolinetto o una panchetta scriveva lettere su commissione, lettere d’amore, lettere di genitori ad un figlio militare.

La bottega del rigattiere (foto: ameliaonline.it)

C’era in città una ricchezza di mestieri, ognuno dei quali si inventava mimiche, abbigliamenti, linguaggi, aneddoti e una morale. Le botteghe erano luoghi storici, coaguli di cultura, regni dove il re si chiamava “mastro”, maestro di martello, di trincetto, di tornio; lo stagnino, le cui armi erano una fucinetta a carbone, un soffietto, un bastoncino di stagno; il maniscalco stava sulle rotte obbligate dei carri agricoli, chiuso in una nube di fumo, curvo dietro l’animale del tutto imprevedibile; l’arrotino di forbici e coltelli, agendo su un pedale, imprimeva al congegno il movimento appropriato, appoggiava con forza alla cote la lama finché la vedeva brillare; la tintora, china sul calderone di aniline, che fumava e pareva vivo; il carrettiere allo schiocco della frusta faceva andare i cavalli; l’indovino pronto ad annunciare una passione travolgente o un grave lutto.

Il fabbro, un fabbro “maestro” è stato sindaco di Amelia per venticinque anni, subito dopo la seconda guerra mondiale. Era socialista e durante il periodo fascista un amico gli fece notare che anche lui indossava la “camicia nera”. Cafiero, così si chiamava, si affrettò a rispondere: “Sì, ma la mia camicia ha i bottoni bianchi!”.

Uno dei suggestivi vicoli di Amelia (foto: Umbriatourism.it)

La città si insinua sorniona nell’anima con enigmi e incantesimi dei quali solo essa ne possiede la chiave. Osservandola di sera dalla sommità della collina, mentre accende ad una ad una le sue luci, si ha la sensazione di vedere apparire un lago chimerico e quel lago scuro di tetti, sfiorato dallo scampanio vespertino, sorprende.

Amelia è il luogo che riassume la collettiva intimità: chiesa, piazza, teatro, mercato, scuola, camposanto il giardino dei morti, è un’immagine che fa pensare al viale dei platani, al vocio delle strade, al grido curioso di un ambulante, al profumo del pane che cuoce in un forno, al ritornello di una canzone, al respiro del vento, allo snodarsi di una processione. Un filosofo greco scrisse “si vuol bene al villaggio che si può abbracciare con una occhiata”.

Il pensiero ricorda una confusa “fame” di società e di colloquio che spinse i primi esseri umani ad aggregarsi ed a morire insieme sulle rive del mare, di un fiume o ai piedi di un monte.

Nacquero, così, i villaggi e i paesi, poi le città e quelle luci acquistarono le antiche paure.

La porzione sudest delle mura poligonali di Amelia (foto: R.Passagrilli per Wikipedia – GNU Free Documentation License)

Amelia venne edificata dagli Umbri e il segno della stirpe è nella poderosa cinta muraria che la difende, il monumento meglio conservato, più completo e più rappresentativo. Amelia è il centro umbro di cui si ha la più antica notizia, una notizia che risale a dodici secoli prima di Cristo.

Intorno scorre placido e malinconico il Rio Grande, nelle sue acque si specchiano i campanili, gli alberi della riva, cattivi pensieri.

Entro le mura il Rinascimento compete in una sorta di acceso certame edile e stempera la corrucciata rigidità medioevale. I palazzi nobili nelle loro forme, hanno l’arcigno colore del tempo e danno il senso della quiete provinciale.

La cattedrale, ristrutturata nel Seicento, domina la città e guarda un orizzonte illimitato. Qui la religiosità cristiana ha trovata una fonte di comunione con Dio, qui gli Amerini saliranno il l5 agosto, memoria dell’Assunta, mossi da una devozione alimentata da tradizione secolare, un impegno sentito che è una preghiera.

Mentre le campane suonano a festa si ricordano i “Miracoli”, la protezione della Madonna, quasi un velo invisibile tra il cielo e l’impianto urbano, che ha tenuto e terrà lontane catastrofi e malattie.

La Madonna non delude le profonde attese degli uomini del nostro tempo.

La torre dodecagona di Amelia (foto: sistemamuseo.it)

La torre dodecagona sul fianco sinistro della cattedrale, nel suo aspetto severo e forte ha conservato tutto il fascino dell’arcaico ed è la testimonianza delle energie umane che coincise col compiersi del primo millennio dell’era cristiana, quando la nostra storia uscì dall’opacità del mondo feudale.

Amelia, nella sua civetteria antiquaria, con le sue tortuosità, è una di quelle città che per l’antica anima, per la bellezza profonda, incomparabile di tutte le sue cose, le più piccole come le più grandi, ciascuno potrebbe sentire sua e ciascuno potrebbe abbracciarla, per raccoglierla, se potesse, tutta nel proprio cuore.

Girare per le sue vie comprese entro case fasciate di tempo, sostare qua e là in brevi improvvisi slarghi a contemplare la sorpresa di uno scorci, è quello che offre Amelia ad uno spirito che sappia cogliere il valore dell’offerta, suscitando risonanze di poesia.

Amelia, dunque appare ricca di suggestioni e perché no, anche di tante potenzialità; è un sogno archeologico, un paesaggio- contenitore di confidenze e di emozioni, dove gli uomini vivono “dentro”. La sua gente ha un passato conforme alle linee dei suoi monumenti e della sua storia, una storia che ha lo stesso spirito del mito nato sulla sua leggendaria origine.

Tutto questo sembra costituire un rigido sistema che presiedeva ogni lavoro agricolo legato al ciclo vegetale. L’occhio gelido e impassibile di Selene, la luna, dominava la vita dei campi, “non concimare se non con l’estremo della luna, semina che la luna ti veda, riponi il grano sotto la luna estrema”. La luna, dunque, signora del mare e delle piogge, degli elementi, sole notturno, era ritenuta efficacissima “sopra l’uva e il vino”; fra il vino e la vendemmia e la luna correva un filo tenacissimo e sbagliare il computo lunare significava compromettere la vendemmia e ottenere un vino cattivo: “vendemmia senz’acqua addosso”, si soleva ripetere.

Il primato della luce lunare si è poi estinto, relegando il regime delle lunazioni alla periferia dei più arcaici mondi agricoli, dove, forse, oggi trova ancora fedeli adoratori segreti. Uscita di scena con la nuova scienza, la luna “sfolgora in tutta la sua potenza il sole, padre quaggiuso, che la terra impregna”.

Igea Frezza

Igea Frezza ha scritto Amelia. Appunti per un viandante curioso per Morlacchi Editore. Questo testo è un estratto del capitolo Immagini nella memoria.
Per informazioni: www.morlacchilibri.com