Unica Umbria

Storia & Storie

Il paese sul bordo del vulcano

Diario di viaggio, Luoghi
Autore: Querci, Daniela

Nel cuore dell’Umbria c’è un piccolo borgo edificato sul bordo di un vulcano. La collinetta verdeggiante sulla quale sorge San Venanzo, osservata attentamente, rivela degli indizi inequivocabili riguardo la sua vera natura. Il profilo mostra fianchi diritti e simmetrici. E la sommità piatta altro non è se non l’antico cratere, oggi riempito da sedimenti. Le fondamenta delle costruzioni poggiano direttamente sulla roccia vulcanica, nera e porosa, e le case stesse sono costruite in tufo, pietra derivante dalla solidificazione dei materiali di eruzione, estratta da cave nelle vicinanze.
 


 
LA SIMBIOSI UOMO-VULCANO Nell’area di San Venanzo ogni attività rende esplicito lo stretto rapporto che esiste fra uomo e vulcano. Un legame antico e indissolubile, come una simbiosi che va avanti da secoli. Gli abitanti di San Venanzo hanno da sempre sfruttato le risorse legate alla natura vulcanica del loro territorio.

La fertile campagna intorno a San Venanzo (foto: Portale Turistico di San Venanzo)

La particolare fertilità del terreno ha favorito l’agricoltura. La friabilità ha permesso di ricavare nelle abitazioni del centro storico fresche cantine scavate direttamente nel tufo e di sfruttare le condizioni particolarmente adatte di questa pietra alla conservazione di vino e alimenti. La roccia vulcanica è stata utilizzata sin dal Medioevo per la costruzione di solide e durature macine da mulino, di cui si possono ancora osservare i resti nella antica cava lungo il percorso naturalistico del museo vulcanologico di San Venanzo. Lo stesso museo, ospitato all’interno di un edificio di pregio nel centro storico del paese, è nato con l’intento di fornire strumenti per approfondire la conoscenza del patrimonio geologico del territorio e la sua intima connessione con la storia degli abitanti.

I FOSSILI DI SAN VENANZO All’interno del Museo c’è anche una sala dedicata ai fossili rinvenuti nella zona, fra i quali spicca il cranio di un elefante preistorico vissuto all’incirca 2 milioni di anni fa, molto prima delle eruzioni vulcaniche.

A quei tempi l’Umbria aveva un clima caldo e umido, ed era percorsa da Nord a Sud da un grande specchio d’acqua molto ramificato, il lago Tiberino, sulle cui rive – in corrispondenza dell’attuale paese di San Venanzo – trovò la morte un esemplare di Elephas Meridionalis, antenato europeo dell’attuale elefante. La storia della scoperta dei suoi resti pietrificati è un aneddoto curioso che ancora oggi si racconta in paese: lo “strano sasso” sarebbe infatti rimasto per molti anni allo scoperto sul terreno, a pochi passi dal centro storico del paese, senza essere riconosciuto, finché – diventato un ostacolo per lo svolgimento delle attività – si decise di spostarlo. I colori e le forme inconsuete di alcune sue parti, rivelate durante lo spostamento, suscitarono a quel punto interesse per un esame più dettagliato, che portò alla scoperta.

Due canini di tigre dai denti a sciabola provenienti dalla breccia ossifera di Monte Peglia e conservati al museo vulcanologico di San Venanzo

Anche il Monte Peglia, pochi chilometri a Sud-Ovest di San Venanzo, è un importante giacimento di fossili, molti dei quali sono ora esposti nel museo di San Venanzo. La più grande sorgente di questi fossili è costituita dalla cosiddetta breccia ossifera del Peglia, un accumulo di sedimenti terrosi che colmano una antica caverna frequentata da varie specie di animali – e anche dai nostri progenitori – più o meno al tempo delle eruzioni vulcaniche.

Scoperto casualmente in un caldo mattino di agosto del 1955, il giacimento si è rivelato ricchissimo. Fra i fossili più interessanti si annoverano i resti della tigre dai denti a sciabola, un grande felino dotato di denti canini di dimensioni eccezionali, con bordi taglienti e seghettati. Fu il predatore più feroce che abbia mai abitato questa regione, ma non sopravvisse all’ultima glaciazione. Fra i reperti umani spiccano una notevole quantità di strumenti litici, pietre lavorate dall’uomo per difendersi, cacciare e compiere le proprie attività quotidiane.

I VULCANI Sono le espressioni più potenti della forza della natura, chiamati in causa come i maggiori imputati per estinzioni di massa, mutazioni climatiche globali e scomparsa di intere civilizzazioni. Evocano immagini terrificanti, ed alimentano da sempre leggende ancestrali, rappresentando i mitici ingressi dell’Averno e le porte di comunicazione con l’Ade. Ma quanto sappiamo realmente di loro? L’idea che viene generalmente associata ai vulcani è quella di imponenti rilievi incombenti sul territorio circostante, con nude pareti scoscese e crateri che eruttano fiumi di lava incandescente e nubi di polveri ardenti. Ma esistono anche altri tipi di vulcani.

Antica macina in venanzite

UNA STORIA DI 265.000 ANNI FA In Umbria edifici vulcanici come il Vesuvio o l’Etna non ci sono mai stati. Immaginiamo piuttosto ampi e bassi coni, o in alcuni casi semplici fessure planari senza rilievo. Nell’area di San Venanzo, circa 265.000 anni fa, si configurarono tre strutture di questo tipo, distanti circa 500 metri l’una dall’altra: il maar di San Venanzo, l’anello di tufi di Pian di Celle ed il cono eccentrico di Celli.

Il maar è una depressione, una grossa buca determinata da un’eruzione di tipo esplosivo ed estremamente violento.
Al termine dell’attività, il terreno attorno al cratere era ricoperto dai prodotti vulcanici, ed aveva acquisito la forma di una collinetta conica. Il cratere si è poi riempito di acqua piovana, trasformandosi in un laghetto profondo una quindicina di metri che, in seguito, ha rotto i suoi argini naturali e si è svuotato. I sedimenti che ora lo colmano conservano ancora resti fossili di animali e vegetali lacustri.

Il fianco, ripido e dritto, del vulcano di San Venanzo

Subito dopo il termine dell’eruzione di San Venanzo è iniziata l’attività vulcanica a Pian di Celle, attraverso un cratere che si trovava alcune decine di metri al di sopra del terreno circostante, e che è stato caratterizzato da una fase esplosiva, con produzione di un anello di tufi attorno al cratere, e da una fase effusiva, in cui sono stati emessi circa un milione di metri cubi di lava fluida ad una temperatura stimata sui 1300 °C. Questa lava ha inondato il territorio intorno ai piccoli rilievi vulcanici, e si è solidificata in una roccia con caratteristiche chimiche particolarissime, conosciuta in tutto il mondo con il nome di venanzite.

Il cono di Celli è definito eccentrico perchè non si trova in linea con gli altri due, ma spostato di qualche centinaio di metri ad Est. Si tratta di un piccolo cratere che ha prodotto essenzialmente un’attività vulcanica esplosiva di ceneri e lapilli.

Daniela Querci