Unica Umbria

Storia & Storie

La chiesa di San Francesco a Terni

Diario di viaggio, Luoghi
Autore: Casali, Arnaldo

Una volta, mentre predicava al popolo di Terni nella piazza davanti al Duomo, il vescovo della città, uomo saggio e spirituale, assisteva al sermone. Terminato che fu, il vescovo si alzò e rivolse al popolo questa esortazione:

Da quando cominciò a piantare ed edificare la sua chiesa, il Signore non ha mai cessato d’inviare uomini santi, i quali con la parola e l’esempio l’hanno sostenuta. E in questi tempi egli ha voluto illuminarla per mezzo di questo uomo poverello, semplice e illetterato – e così dicendo mostrava con il dito Francesco a tutto il popolo – per questo siete tenuti ad amare e onorare il Signore, e a guardarvi dai peccati: poiché non ha fatto a tutte le nazioni un dono simile.

Tutto era cominciato nel 1218, con una predica.
Il vescovo di Terni, Rainerio, aveva invitato a parlare sul piazzale antistante la Cattedrale Francesco d’Assisi, al tempo trentaseienne e già celebre in tutto il mondo.

Veduta della chiesa di San Francesco a Terni

Concluso che ebbe il discorso – racconta la Compilazione di Assisi, una fonte che raccoglie le memorie di frate Leone e di altri tra i compagni più intimi del santo – il vescovo scese dal luogo dove aveva parlato ed entrò con Francesco nella chiesa cattedrale. Allora il Santo si inchinò davanti al vescovo e si prostrò ai suoi piedi dicendo:

In verità ti dico, messer vescovo, che finora nessuno mi ha fatto a questo mondo un onore grande come quello fattomi oggi da te. Gli altri dicono: – questo è un santo! -, attribuendo gloria e santità alla creatura e non al Creatore. Ma tu, da uomo sagace, hai separato la materia preziosa da quella vile.

Rainerio era diventato vescovo di Terni proprio quell’anno e la sua nomina aveva messo fine alla lunga vacanza della diocesi, che per ben 500 anni era stata soggetta prima a Narni e poi a Spoleto.

Secondo la tradizione lo stesso Francesco, che era già stato a Terni e aveva raccolto qui diversi tra i suoi compagni, si era fatto portavoce della causa ternana presso papa Onorio III e per ringraziarlo il neo vescovo (che sarebbe morto nel 1253) lo aveva invitato in Duomo e gli aveva donato il terreno dove il santo aveva soggiornato in quel periodo e dove aveva vestito il saio a Simone dei Camporeali detto Simoncello, “forse per la sua piccola statura – scrive Ludovico Iacobilli nel suo Vite de’ santi e beati dell’Umbria – o per la sua umiltà”.

“Rainerio – scrive Giuseppe Cassio nell’imponente volume San Francesco, il santuario di Terni. Visione incantevole di arte e fede, pubblicato nel 2005 – espresse al Poverello il desiderio di impiantare stabilmente a Terni una comunità di frati. Fu così che Francesco si ritirò fra i campi e gli orti che si stendevano a ovest della città in una delle plaghe ancora più tranquille e deserte, presso la cinta delle mura urbane”.

La zona dove Francesco si era stabilito con i suoi compagni era quella che sorgeva intorno al piccolo oratorio di San Cassiano, divenuto in seguito San Marco e oggi sede dell’Istess, l’Istituto culturale della Diocesi: qui, seguendo il modello di Santa Maria degli Angeli ad Assisi, erano state costruite delle piccole capanne da destinare ad abitazione dei frati.

Dopo la morte di Francesco, però, con l’ordine in piena espansione in tutto il mondo, si decide di costruire un vero e proprio convento annesso ad una nuova chiesa, che viene completata nel 1265.
L’edificio viene costruito a immagine e somiglianza delle basiliche di San Francesco e Santa Chiara in Assisi, con un’architettura che ne riproduce lo stile sia all’interno che all’esterno.

La facciata con le due navate sinistra e destra, aggiunte nel sec. XV

 

La chiesa è rivolta a sud-ovest, in modo da essere illuminata tutto il giorno e il portale raccoglie molti simbolismi numerici: nella chiave di volta si trova scolpita una croce con due fiori, che presentano rispettivamente sei petali (quello a sinistra) e quattro (quello di destra). “Il 6 – spiega Cassio – è il numero della trascendenza ma anche quello dei giorni della creazione e delle opere di misericordia. Il 4 è invece l’antitesi del 3, simbolo di Dio, il numero tradizionale dell’universo terreno, degli elementi delle stagioni, dei temperamenti dell’uomo flemmatico, sanguigno, collerico, melanconico. Sommando il numero dei petali si arriva a 10, simbolo delle sfere celesti: poiché si contava sulle mani, il 10 rappresentava l’inizio e la fine di tutti i numeri, il segno della perfezione, del compimento e dell’assoluto”. Collegando il vertice della croce con i due fiori, si crea un triangolo equilatero il cui numero tre rappresenta la perfezione. “L’arco a tutto sesto è sormontato dall’unione di 8 cerchi concentrici, che rimanda a significati parusiaci e al contrasto tra l’umano e il cosmico”.

All’interno della chiesa vengono sepolti, nel 1270, due seguaci ternani di Francesco: lo stesso Simone Camporeali e Pietro Capitoni Cesi.
“L’importanza del cenobio ternano – scrive Paolo Rossi in Francescanesimo e Islam. I primi cinque martiri – fu tale che nel 1321 vi fu celebrato il Capitolo generale dell’Ordine, con l’intervento di circa 3000 frati”.

Il campanile, progettato da Antonio da orvieto, fu inaugurato nel 1445

Nel XV secolo la costruzione viene ampliata con due navate, una a destra e una a sinistra, mentre il 22 marzo 1445 viene inaugurato il campanile progettato dall’architetto Antonio da Orvieto. Due campane vengono installate nel 1458 mentre altre due prendono il loro posto nel 1460.

Il 25 ottobre 1455 san Giacomo della Marca, durante una predica nella chiesa ternana, propone di dedicare una cappella a San Bernardino da Siena, che verrà completata nel 1464. Bernardino, che era morto undici anni prima ed era stato canonizzato da 5 anni, era stato più volte ospite nel convento e a Terni aveva fondato la chiesa di Santa Maria dell’Oro.

“Nel XVI secolo – spiega Cassio – il movimento architettonico all’interno della Chiesa fu stimolato dalla Confraternita della Croce Santa, nata attorno a un’importante reliquia donata alla chiesa nel 1473. La confraternita si impegnò a ricavare una cappella per la custodia del sacro legno, prolungando il braccio sinistro del transetto”.

A questa nuova cappella si aggiunge, nel secolo successivo, quella di Sant’Antonio, costruita sull’area speculare a quella della Santa Croce e decorata dalla bottega dei fratelli Grimani di Stroncone.
Nel 1500 si tiene un altro capitolo generale dei frati minori conventuali, durante il quale viene eletto ministro generale fra’ Egidio Delfini di Amelia.

La storia del convento francescano, però, è destinata a terminare bruscamente nel 1861, quando con l’unità d’Italia vengono soppressi gli ordini religiosi e incamerati i loro beni. La storica chiesa viene demaniata e convertita in magazzino comunale, mentre il convento diventa il convitto comunale intitolato a Umberto I di Savoia, secondo re d’Italia.

La riscoperta degli affreschi della Cappella Paradisi, avvenuta nello stesso 1861 da parte di Benedetto Faustini, spinge il regio ispettore agli scavi di Terni – Luigi Lanzi – a coinvolgere tutte le istituzioni per il restauro della chiesa e la riapertura al culto, cosa che avviene nel 1900, quando torna ad essere parrocchia e viene affidata a un prete secolare.

Le disavventure di San Francesco, però, non sono ancora finite: il terremoto del 1917 crea infatti nuovi danni costringendo la Curia ad una nuova chiusura.

La cappella Paradisi

Per decenni la Diocesi di Terni aveva corteggiato i salesiani: già durante il Risorgimento il vescovo Belli aveva chiesto aiuto a don Bosco in persona e nel 1925 Cesare Boccoleri ci riprova chiedendo al suo successore – Filippo Rinaldi – di mandare a Terni un gruppo di sacerdoti per educare i giovani del convitto. La proposta viene finalmente accettata e nel marzo del 1927 la chiesa di San Francesco è affidata ufficialmente ai salesiani. È l’inizio di una fase nuova ma non la fine dei tormenti del tempio: durante la seconda guerra mondiale l’edificio è infatti tra i più bombardati della città, che è a sua volta la città più bombardata d’Italia dopo Cassino. I danni pesantissimi costringono all’ennesima chiusura per un nuovo, radicale restauro, che si conclude nel 1952.

San Francesco diventa, nel secondo dopoguerra, la parrocchia più importante e frequentata del centro cittadino, punto di ritrovo dei giovani dell’intera città e nel 2004 viene solennemente elevata a santuario dal vescovo Vincenzo Paglia che, per l’occasione, promuove una nuova campagna di rinnovamenti che riguarda il piazzale, il campanile e l’illuminazione che valorizza al meglio i tanti tesori d’arte che il tempio racchiude.

Ancora oggi, ad accogliere il fedele in una nicchia nell’entrata sinistra, c’è l’antico ritratto di Simone Camporeali, con il saio marrone, la barba folta e gli occhi che sfuggono a causa del deterioramento della pittura. Sotto il dipinto una lapide ne ricorda il nome e le gesta. Di fianco al ritratto di Simone – nella controfacciata – si trova un dipinto particolarmente singolare che rappresenta il beato papa Urbano V, opera di un anonimo. La figura del papa è sormontata da un’immagine del Salvatore che sembra riprodurre il volto del Mandylion, il misterioso ritratto di Cristo da molti identificato con la Veronica e con il Volto Santo di Manoppello, con cui – in effetti – il dipinto ternano ha molti tratti in comune.

Il massimo capolavoro artistico della chiesa è però la Pala dei francescani di Piermatteo da Amelia, completata il 2 luglio 1485 e che contiene – tra l’altro – anche una delle più antiche raffigurazioni di San Valentino oggi conosciute e l’unica medievale presente in Umbria. Del santo, vescovo e patrono di Terni e protettore degli innamorati di tutto il mondo, si conoscono infatti pochissime raffigurazioni di epoca medievale, e quasi tutte sono concentrate a Bussolengo, in provincia di Verona.

La tavola era stata poggiata sull’altare che doveva trovarsi addossato alla parete del coro. Nel XVII secolo era stata spostata e collocata nella cappella di Sant’Antonio, dove è rimasta fino alla fine dell’Ottocento, quando viene spostata nella Pinacoteca. Nel 1928 torna nella chiesa ma durante la Seconda Guerra Mondiale, per metterla al riparo dai bombardamenti, viene trasferita nel convento francescano di Stroncone, e non farà mai più ritorno nella sua sede originaria. Oggi, infatti, la Pala di Piermatteo rappresenta il pezzo forte della pinacoteca comunale ed è oggetto di una decennale contesa tra la parrocchia di San Francesco, che la rivendica a gran voce e il Comune di Terni che – nonostante le pressioni arrivate anche dalla Diocesi – non ha nessuna intenzione di cederla.

La Pala dei francescani di Piermatteo d’Amelia

 

L’altro grande capolavoro della chiesa è il ciclo di affreschi raffigurante il Giudizio universale, eseguito dall’artista folignate Bartolomeo di Tommaso per le tre pareti della cappella gentilizia della famiglia Paradisi, posta al termine della navata destra, innalzata tra il 1288 e la seconda metà del XIV secolo.

Il lavoro viene eseguito nel decennio 1441-1451 e la volta incompiuta della cappella dimostra che l’artista fu interrotto da un impegno imprevisto ed evidentemente più prestigioso.
Il pittore, forse chiamato a Terni dallo stesso Giacomo della Marca, raffigura un Giudizio universale che rappresenta la registrazione pittorica dei sermoni domenicali del Santo, come emerso da un raffronto con le trascrizioni delle prediche, anche se c’è chi ha visto nella Cappella Paradisi anche una vera e propria versione in immagini della Divina Commedia.

Le pareti vengono divise in scomparti per presentare ciò che i profeti hanno preannunciato e il Cristo ha promesso: la lettura ha un inizio nel registro inferiore nella parete sinistra dove vengono rappresentati i profeti dell’antico testamento: Geremia, Daniele, Malachia, Isaia ed Ezechiele; accanto a loro trova posto anche Giona, punito per essersi rifiutato di predicare nella città pagana di Ninive.

In un paesaggio scarno e aspro con profonde caverne che si alzano a forme di colline e dalle rive frastagliate, si animano numerose figure di risorti, che sono nudi e raggruppati a seconda dei peccati commessi, ed etichettati da cartigli: la lussuria, la vanagloria, l’ira, l’accidia e l’avarizia, mentre superbia e gola sono scomparsi a causa del distacco degli intonaci. Gli accidiosi vagano immersi nell’acqua, i vanitosi camminano su lingue di fuoco, gli avari hanno le mani legate, gli irosi sembrano rassegnati, i lussuriosi si contorcono e si coprono gli occhi.
Il registro superiore destro è dedicato invece ai beati, presi per mano da Cristo risorto: primo fra tutti è il buon ladrone con la sua croce e il perizoma.

Una xilografia della chiesa nel sec. XX

La parete destra raffigura la seconda venuta di Cristo risorto, impegnato ad afferrare le anime dei giusti per portarle nel suo regno. Il registro superiore della parete centrale è il vertice dell’intero ciclo: in alto la mandorla con Cristo giudice che siede sul trono e indossa abiti regali. All’interno della mandorla ci sono schiere di angeli intente a suonare trombe, cembali e liuti, a fianco due cicli di patriarchi e profeti, con Abramo, Isacco e Giacobbe a sinistra, David, Mosè ed Elia a destra, e al centro tre gruppi di angeli. Pietro è assiso alla destra di Cristo e Paolo a sinistra, affiancati dagli altri apostoli.

Molti gli oggetti di interesse custoditi nel santuario: tra questi un reliquiario, una statua di Francesco d’Assisi in legno realizzata nel 1935, il fonte battesimale di Vittorio Cecchi, il crocifisso in bronzo scolpito da Giuseppe Menozzi nei primi anni del XX secolo (tra le pochissime raffigurazioni a rappresentare le stimmate di Cristo sui polsi anziché sui palmi), un gruppo in legno che raffigura don Bosco con i giovani e un’altra statua lignea di Santa Lucia risalente al XV secolo, che presenta la santa protettrice della vista che mostra il piattino con i suoi occhi, occhi che secondo la tradizione, si era strappata da sola delle orbite pur di non cedere al corteggiamento di un soldato romano.

“La chiesa di San Francesco in Terni – scriveva Carlo Chenis, tra i massimi esperti di arte sacra e committenza ecclesiastica – è segno del continuum storico. Ferite e ricostruzioni, raccontate dalla complessa vicenda del monumento, rivelano pagine eloquenti di cronaca, dove emerge il coinvolgimento appassionato, drammatico, lieto e devoto dell’intera collettività”. “Terremoti rovinosi, terribili pestilenze, lotte intestine e soprattutto, la devastazione inferta dalla seconda guerra mondiale, lasciarono nell’edificio segni indelebili a perpetua memoria dei giorni nefasti vissuti dalla città umbra. Ma all’indomita volontà dei ternani, sorretta dalla fede in Dio e coadiuvata dall’intercessione di San Francesco, ha permesso al monumento di rinascere dalle ceneri con rinnovato splendore”.

Arnaldo Casali