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Storia & Storie

Viaggio nella Perugia di Sandro Penna

Diario di viaggio, Luoghi
Autore: Bracci, Barbara

«Quello che ricordo più intensamente è così sciocco e personale che farei ridere a chiamarlo Perugia».

Così scriveva Sandro Penna nel libro di prose “Un po’ di febbre” a proposito di Perugia, dopo dieci anni di assenza dalla sua città natale.

La casa natale di Sandro Penna a Perugia, fotografia di Pivari.com

Sandro Penna nacque il 12 giugno 1906 a Perugia, in via Mattioli 7 (l’attuale numero 17), dal commerciante perugino Armando Penna e da Angela Antonione Satta. I nonni paterni del poeta avevano gestito, nella seconda metà dell’Ottocento, una distilleria nei pressi di Papiano, nel marscianese, poi fallita; in seguito nonno Beniamino aprì a Perugia una drogheria, che il padre di Sandro trasformò in un negozio di articoli da regalo e chincaglierie. Proprio lì, al numero 12 di via Mazzini, il poeta si divideva tra l’aiuto nella vendita e le sue letture preferite: «Mio padre aveva un negozio di varie cose, una specie di bazar, proprio ad un angolo del “corso”. Io stavo lì dentro molto spesso, curioso dei clienti ma pronto a ricacciarmi nella lettura di Rimbaud dopo aver spinto qualcuno all’acquisto di tre saponette a lire cinque piuttosto di una a lire due. In questo negozio passavano le persone importanti della città e di maggior orgoglio, quelle che a Perugia sostavano in tutta fretta», scriveva ancora, Sandro, in “Un po’ di febbre”.

E “un po’ di febbre” è un’espressione che ben si addice agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Penna dato che il poeta, fragile e cagionevole, fu spesso malato in quel periodo, tanto da rimandare l’inizio delle scuole elementari e da ritardare il conseguimento del diploma, ottenuto nell’estate del 1925 presso l’Istituto Tecnico Commerciale Vittorio Emanuele II di Perugia, all’epoca situato in piazza San Francesco, «là dove io dovevo lasciare la celeste luminosa aria della primavera umbra per calarmi entro uno dei soliti archi che in quel caso mi portava al buio della scuola».

Come si apprende dalle pagelle, nei sei anni di scuola superiore il poeta, che fu due volte ripetente (in seconda e in terza) per motivi di salute, ebbe un rendimento crescente, fino all’ottenimento del diploma, conseguito a pieni voti, ma forse più per dovere che per passione verso la ragioneria, almeno secondo la testimonianza di Ferrero Piacenti, cugino di Sandro, riportata da Elio Pecora. In quegli anni la famiglia abitava in via Vermiglioli 5, una piccola traversa «in ripida discesa» di via dei Priori, dove ora c’è un garage, mentre ai piani superiori si trova un albergo. I Penna si erano trasferiti lì nel 1916, e vi restarono per più di un decennio, dopo aver cambiato casa per sette volte in dieci anni: dalla casa natale di Sandro si erano trasferiti in via del Circo, poi in via Bonazzi, in corso Vannucci 2, in via Bottinelli, in via Vincioli e in via del Fagiano, in una casa con l’orto dove Sandro e il fratello minore, Beniamino, si divertivano con innocue bravate.

Centro storico di Perugia visto dall’alto, foto aerea di Paolo Ficola

Ecco, a questo proposito, il tenero ricordo del poeta: «In un’altra casa ricordo il grande orto recinto da un murello alto su di una strada senza dubbio cittadina e lastricata. Su questa strada, a certe ore chiare del meriggio, si radunavano ragazzi in attesa di un certo lancio di fichi, o altro, da me e mio fratello inventato per far nascere il putiferio che si immagina».

Anche degli anni trascorsi in via Vermiglioli Sandro ci consegna ricordi vividi e intensi: «Io stavo sulla piazzetta, che vedevo da alcune finestre, e di quella la cosa importantissima è il fracasso infernale che veniva da una bottega di fabbri. In ogni stagione il rumore era eterno e assorbe ogn’altra mia sensazione di quel luogo e di quel tempo. Se quelle finestre mi tenevano ancora dentro alla città, nella stessa casa avevo una terrazza vastissima che era già in campagna».

Passando in quella via, e fermandosi per un attimo a osservarla, torna in mente il racconto del biografo Elio Pecora a proposito delle acrobazie circensi improvvisate da Sandro e dal fratellino Beniamino, intenti a camminare sulle corde tese fra le due ringhiere, o a fare giochi di prestigio coi fazzoletti di carta, così da divertire i passanti e raccogliere qualche monetina.

Ma quelli di via Vermiglioli furono anche gli anni dei sempre più frequenti litigi tra i genitori del poeta, soprattutto dopo il ritorno dalla guerra del padre, ormai malato di sifilide; nel 1920 la madre di Sandro si trasferì a Pesaro, dalla sorella, e poi a Roma, insieme alla piccola figlia Elda.

La lontananza dalla madre ispirò al giovane poeta la poesia “Alla mia cara madre sull’imbrunire”, spedita ad Angela nel 1922 e poi pubblicata in “Confuso sogno”, insieme ad altre poesie “perugine” di quegli anni, come il sonetto “La morte del poeta”. Sempre nel 1922, il giorno 26 luglio, Sandro iniziò a scrivere un diario, che ebbe vita breve ma che trasporta ancora oggi il lettore nelle sue vicende cittadine di adolescente turbato, solitario, divoratore di libri.

«Sono un ragazzo di 16 anni, non ho vizi per niente, niente fumare, niente divertimenti, che tutti i giovani come me hanno, all’infuori delle rare volte che vado a teatro con i miei (zia Emma, papà e Beniamino) ed al cinematografo con zia e Beniamino. […] I pochissimi denari che spendo, li spendo per i libri e per niente altro».

Corso Vannucci, Perugia

In realtà, oltre agli spettacoli al teatro Pavone, l’adolescente Sandro si concedeva anche qualche uscita con gli amici lungo corso Vannucci, come ricorderà più tardi in “Un po’ di febbre”, descrivendo in modo piacevolmente attuale l’immutata usanza, non solo giovanile, della “vasca” in centro.

 «Ma tutti ci si poteva poi rivedere, era quasi certo, al passeggio del “corso”. C’erano delle ore in cui era difficile non essere presenti. L’assente era sospettato in disgrazia. Noi giovani poi consideravamo un dovere fare il “corso” molte volte, anche se soffiava d’inverno “la tramontana”. E dovevamo lo stesso arrivare a toccare il parapetto sulla magnifica vallata, di cui abbiamo parlato, giacché era quest’ultimo il tratto più gelido, come si può immaginare, il più eroico».

Il riferimento è al punto di vista raggiungibile da piazza Italia, da cui si apre un panorama mozzafiato sulle vallate circostanti: «In fondo in fondo s’indovina che il “corso” finirà su l’infinito. Se si percorre infatti completamente, si arriva ad un parapetto dal quale la vista è una delle più belle d’Italia».

Belvedere da Piazza Italia, Perugia, fotografia di Alessio Giovagnoli

Nel 1929 Sandro Penna lasciò Perugia, i suoi panorami, le sue vie antiche – che suscitavano la meraviglia dei turisti inglesi – in cerca di nuovi stimoli e di nuovi orizzonti, certo di trovarli a Roma.

L’unico ritorno, fugace, alla città natale avvenne nel 1943: il poeta doveva comprare delle pastine glutinate da rivendere a Roma. Il suo diario, scritto il 2 agosto in piazza Giordano Bruno, ci restituisce le emozioni del rinnovato incontro con la città.

«Sono tornato a Perugia dopo quattordici anni. […] E il ritorno non è stato una delusione. […] Oggi, terzo giorno, rivedo tutto assai bello. Sono stato stamane a Ponte San Giovanni a ritrovare il fiume. Percorro la campagna piena del sole di agosto, una donna mi dice: l’allarme – e guarda Perugia lasciata in alto sotto il sole. […] Ma qui non si fugge, non suona nessun allarme. non c’è che camminare ugualmente tranquilli per la campagna».

A Perugia, “troppo cara e troppo sconosciuta”, non erano sorti i grattacieli che Sandro aveva immaginato durante la sua lunga assenza. E chissà cosa avrebbe pensato il poeta della Perugia di oggi, di quelle novità che convivono con la sua storia secolare, di quella città che, nel bene o nel male, ha contribuito a far nascere in lui il germe prolifico e benefico della poesia.

Barbara Bracci