Unica Umbria

Storia & Storie

L’ultimo atelier di tessitura a mano

Diario di viaggio, Luoghi
Autore: Fioravanti, Federico

L’ultimo atelier di tessitura a mano d’Italia nella più antica chiesa francescana di Perugia. Laboratorio e insieme museo. Una bottega d’arte, dove ogni singolo oggetto ha una storia da raccontare. E dove si riscopre il tempo, quello che ci vuole per svelare la bellezza e poi mostrarla, così com’è, semplice e grande.

Nel tempio sconsacrato di San Francesco delle Donne, la tradizione tessile medievale e rinascimentale dell’Umbria riemerge ogni giorno da un intreccio paziente di storia e alto artigianato, su grandi telai di legno del Settecento e dell’Ottocento. E tra le ampie bifore che illuminano la navata, giovani donne gettano ancora la spola, come facevano, otto secoli fa, le monache benedettine.

Laboratorio Brozzetti

Il Museo Laboratorio Giuditta Brozzetti realizza tessuti artistici “su misura” da quattro generazioni. Sono manufatti in lino, cotone, seta, misto cashmere e laminato. Le tende e i copriletti, gli arazzi e le tovaglie catturano lo sguardo come i centri, i copritavolo, i cuscini e i paralumi sparsi tutt’intorno.

Tra suoni, colori e decori, il visitatore quasi si immerge in un’ancestrale memoria artigiana. Marta Cucchia, la pronipote della fondatrice, insegna ancora, su richiesta, l’arte dimenticata della tessitura a mano. Ma grazie a inediti abbinamenti cromatici e fantasiose contaminazioni di stile, propone una linea eclettica di pezzi esclusivi e personalizzati.

Visitare il laboratorio è come fare un viaggio nel tempo. L’atelier si trova in via Berardi 5, nel quartiere di Porta Sant’Angelo, all’interno della cinta muraria trecentesca.

Chiesa di San Francesco delle Donne, sede dell’atelier di tessitura

L’antica chiesa è uno dei luoghi francescani più importanti d’Italia. Fu costruita nel 1212, quattordici anni prima della morte del Poverello, ai margini di quella che allora era la raccolta e silenziosa vallata della Conca. All’inizio, poco più di un angusto romitorio, dove San Francesco e i suoi discepoli dormivano quando venivano a predicare a Perugia.

Cinquanta anni dopo, l’ordine monastico volle edificare ai piedi dell’acropoli perugina una nuova e grandiosa chiesa: San Francesco al Prato. Così il piccolo convento passò dai frati alle monache benedettine del Renajo di Cenerente. E da allora, in onore delle silenziose inquiline, si chiamò San Francesco delle Donne.

Per la sua posizione, proprio a ridosso delle mura cittadine, nel corso dei secoli fu più volte abbandonato e più volte tornò ad essere abitato, secondo il ritmo alternato delle guerre. Nel 1810 il convento venne soppresso e fino al 1821 fu trasformato in un pio istituto dove le ragazze povere potevano ricevere una adeguata istruzione. Poco dopo, il conte Zefferino Faina, produttore di una pluripremiata seta grezza, trasformò la scuola in una rinomata filanda dove vennero impiegate “fino a trecento popolane”.

Nel 1925 a San Francesco delle Donne si insediò la fabbrica di ceramiche “La Salamandra”, famosa per le sue “avanguardie”, che ha lasciato, come segno del suo passaggio, una sorprendente ciminiera. L’importante azienda, che ospitò i migliori artisti del settore, ristrutturò il campanile della chiesa e restaurò anche il tetto originale del convento.

Il filo conduttore del lavoro femminile caratterizza questo luogo speciale. E così non sembra casuale che dal 1996 il laboratorio Giuditta Brozzetti percorra il cammino iniziato secoli fa dalle monache benedettine.

Il motto del museo-laboratorio, ripreso da una elegante xilografia di Bruno da Osimo, è “Laboremus Jucunde”. Un inno alla gioia, alla voglia di fare, alla fiducia nel futuro. La stessa che animava Giuditta Brozzetti, fondatrice della scuola artigiana.

Madre di cinque figli, negli anni della Prima Guerra Mondiale, venne nominata direttrice delle scuole elementari di Perugia. Per ispezionare le scuole, girava in calesse lungo le strette strade dei borghi e lungo le aie dei cascinali.

Incuriosita dal rumore ritmico dei telai che arrivava dall’interno delle case contadine, scoprì il mondo che cambiò la sua vita. Iniziò allora a raccogliere i tessuti più belli per portarli in città. I lavori delle famiglie povere del contado perugino venivano esposti e venduti lungo Corso Vannucci, nelle belle vetrine del mercato permanente delle “Arti Decorative Italiane”.

Dopo la guerra, quando gli uomini rientrarono dal fronte, Giuditta si dimise dall’incarico di direttrice, si iscrisse all’Albo degli Artigiani e nel 1921 aprì un laboratorio di tessitura a mano nella centrale via Baglioni, dove venivano riprodotti i damaschi del passato e le tradizionali Tovaglie Perugine.

Le “scolare” che frequentavano il laboratorio, secondo un retaggio medievale, per imparare il mestiere pagavano versando piccole somme o offrendo doni simbolici in occasione del Natale o della Pasqua. In quegli stessi anni, poco lontano, una sorella di Giuditta, Margherita Casini Lastrucci, aprì una delle migliori sartorie di Perugia.

I tessuti rustici non venivano prodotti nel laboratorio creato da Giuditta ma nascevano direttamente nelle case delle tessitrici, con l’ausilio dei tradizionali telai manuali a pedali con quattro licci. Spesso, tutta la famiglia partecipava al lavoro destinato all’atelier Brozzetti. Le Tovaglie Perugine e i damaschi già allora venivano invece realizzati nel laboratorio del capoluogo, attraverso le riproduzioni dei motivi disegnati dallo xilografo marchigiano Bruno Marsili, detto Bruno da Osimo, poi trasferiti su cartoni dalla ditta specializzata Chichizola di Milano. La bottega artigiana arrivò ad impiegare una ventina di persone e si trasferì al piano terra del palazzo Baldelli Marsciani, nella centrale via Bontempi.

Tovaglie di Perugia, immagine dal sito del Festival del Medioevo

I tessuti perugini, all’inizio degli anni Trenta del Novecento, conobbero uno straordinario successo in America. Poi l’autarchia mussoliniana impoverì la produzione e disperse i clienti più importanti, che erano concentrati tra New York, Philadelphia e Boston. Durante la guerra, Giuditta Brozzetti trasferì gli amati telai a jacquard nelle soffitte della sua abitazione. Ancora alla fine degli anni Quaranta, il laboratorio perugino produceva per il colosso commerciale americano Gondrand, le cosiddette “tovagliette all’americana”: centritavola in rafia, di vari colori. Ne venivano ordinati dodicimila pezzi per volta. Ma all’alba degli anni Cinquanta, di fronte alla concorrenza asiatica, la produzione fu assorbita quasi del tutto dal mercato italiano. Il rinomato laboratorio perugino, per anni è stato l’assoluto e pluripremiato protagonista delle maggiori fiere del settore.

Clara Baldelli Bombelli Cucchia, pronipote di Giuditta Brozzetti, impegnata attraverso un attento e appassionato studio nella salvaguardia della gloriosa tradizione artigiana, trasformò la ditta individuale in una società cooperativa e propose al comune di Perugia di recuperare la duecentesca chiesa di San Francesco delle Donne.

Le lavoranti guidate da Marta Cucchia e da sua madre Clara Baldelli Bombelli, con i telai a licci realizzano ancora oggi tessuti che troviamo raffigurati nei dipinti del Sodoma, del Pinturicchio e del Signorelli e i tipici manufatti “rustici” della tradizione popolare umbra. Con i telai a jacquard (brevettati da Vincenzi nel 1836) vengono tessuti damaschi ed armature semplici in cotone, misto lino e misto seta. E grazie a un telaio originale del XVII secolo, è stato possibile recuperare una tecnica di cui si era persa la memoria: la tessitura detta Fiamma di Perugia.

Tessuti artistici unici ed indistruttibili che presentano alcune caratteristiche originali. Segno distintivo del laboratorio, quasi un marchio di fabbrica, è la Trina, un tessuto leggero e trasparente inventato da Giuditta Brozzetti, adatto soprattutto per realizzare tovaglie e tende: presenta dei piccoli disegni geometrici a forma di rombo con un effetto traforato che ricorda un merletto.

L’atelier propone anche l’Occhio di pernice, un motivo geometrico con effetto a rilievo che struttura un tessuto più pesante, adatto per le guide, gli arazzi e i copritavolo. Lungo la bella navata duecentesca si possono ammirare i motivi caratteristici delle famose Tovaglie Perugine, utilizzate inizialmente per arredi sacri ed in seguito anche per uso domestico. L’esempio emblematico della tradizione è rappresentato dal tipico motivo in cui compare il grifo, simbolo della città, insieme al contorno stilizzato della Fontana Maggiore di Perugia.

La serie dei disegni raccolti dal 1921 ha un valore inestimabile, anche perché può essere tessuta con un solo “rimettaggio”, grazie a un sistema particolare di posizionamento dei fili dell’ordito nelle maglie dei licci.

Clara Baldelli Bombelli e sua figlia Marta Cucchia raccontano che di fronte a un motivo particolarmente interessante, Giuditta Brozzetti realizzava subito uno schizzo per poi rifinire con calma i particolari, seduta su uno sgabello pieghevole che portava sempre con sé, insieme anche a un blocco di carta e a delle matite dalle quali non si separava mai.

Proprio in questo modo nacque il disegno San Pietro, copiato da un intarsio del coro ligneo rinascimentale presente nella antica basilica di Perugia.

Altri disegni sono ispirati dalle Tovaglie Perugine della Collezione Rocchi, ora conservate nella Galleria Nazionale dell’Umbria. Rappresentano leoni rampanti, grifetti, cervi con fontana, cani con collare e fiordaliso. Alcuni, come re Salomone e Settesoli, sono ripresi da preziose stoffe ricamate nel Medioevo e nel Rinascimento.

Laboratorio Brozzetti, fotografia di Steve McCurry

Nella ex chiesa di San Francesco delle Donne, lo sguardo insegue leoni stilizzati, lepri, unicorni, chimere ed uccellini. E di frequente incrocia il caratteristico segno di una spina di pesce bassa, che pare quasi richiamare il movimento ondoso dell’acqua: è il “belige” o “blige”, il disegno esclusivo della tradizione umbra, chiamato forse così per il “bilico”, il movimento a bilancia dei pedali.

Il disegno Madonnina, a piccoli esagoni, richiama la cornice del dipinto raffigurante la Madonna delle Grazie, protettrice delle bambine, situata nella Cattedrale cittadina. La Graticcia è un bel reticolato di rombi che rimanda alla graticola di un martirio: quello di San Lorenzo, uno dei patroni di Perugia, insieme a San Costanzo e Sant’Ercolano. E nella Dama, le fasce di decoro geometrico richiamano i misteriosi fregi che ornavano gli affreschi delle tombe etrusche.

Nella emozionante fedeltà dei disegni si riannodano secoli di storia. Per creare i tessuti, nei telai manuali con macchina jacquard è necessario inserire le schede dei disegni a catena. E servono 150 cartoni perforati per arrivare a produrre appena dieci centimetri di tessuto. Tutto è fatto a mano. Il prezzo allora è solo una convenzione. Per provare a misurare il tempo di opere che sono senza tempo.

Federico Fioravanti

 

Web:

www.tipicamenteumbria.it/artigianato-artistico/tessitura-ricamo/