Unica Umbria

Storia & Storie

Volando sull’Umbria

Diario di viaggio, Luoghi
Autore: Coletti, Mimmo

Il distacco avviene a fatica, nei primi metri sembra che la mano di un gigante si opponga, poi la salita si fa lieve, incontrastata. E si va in alto, libertà e luce, nuvole raminghe da trapassare veloci, si sfiora il cielo fino a intingere le dita nell’azzurro, il mondo si allontana.

Campagna umbra, omaggio a Mondrian. Foto aerea di Paolo Ficola

Si scopre un’altra geografia quando si hanno per compagni le aquile e gli orizzonti perduti. Fantasie di tappeti volanti, coriandoli di natura effervescente, insolita, mai vista, ricca di sintesi da diventare arazzo, geometria dell’anima. Serpeggia la strada, si allarga la vista fino al cilestrino dei monti che paiono di vetro.

Campagna umbra, omaggio all’arte di Alberto Burri. Foto aerea di Paolo Ficola

Città di Castello porta con sé il gran volume della sua civiltà e il simbolo della gloria recente di chi ha aperto nuove possibilità espressive legate alla materia. Palazzi di un vivere sontuoso promosso dalla signoria illuminata dei Vitelli, punto d’incontro di culture diverse, qui gli umori di almeno quattro regioni con vivacità sorprendente, Raffaello ancora ragazzo, Signorelli, Vasari, il fiorentino Rosso hanno deposto le orme del loro spirito. E la tradizione non s’è interrotta, l’arte grafica ha avuto maestri e seguaci, la contemporaneità ha aperto le finestre del mondo. Con Alberto Burri ecco affiorare le cromie, le unghiate, le linee guida, un rapporto di trasmutazione alchemica tra la realtà e l’idea.

Campi arati come teoremi di gialli e di verdi, ritmi e superamento di ogni descrittività. E poi terme e impianti modello per il vino quando da Roma arrivò Plinio il Giovane, paesini stretti a pugno in cima a un’altura, chiusi a riccio, impossibili da scorgere nella loro trama di merletto se non così.

Parlando di bellezze arcane ecco la Piazza Grande di Gubbio, ingioiellata dal Palazzo dei Consoli e la scala si protende nel tessuto forte del pavimento che pare una conchiglia, invito a sostare, a entrare. Assieme alla cattedrale, il Palazzo Ducale voluto da Federico da Montefeltro trasformato in un museo di cose mai viste. Scontato pensare a sant’Ubaldo e alla sua chiesa in cima all’Ingino: l’architettura è un cubo, una roccaforte mistica, meta dei ceraioli e tutt’intorno deflagrano alberi arrampicati su scoscesi profili, campi marezzati, vegetazioni spontanee.

La pensile Piazza Grande di Gubbio e il Palazzo dei Consoli con la sua gradinata a ventaglio. Foto area di Paolo Ficola

Un viaggio, questo, breve per necessità. Freme la romanità di Spello, allungata come un pigro gatto sulla dorsale del monte, introduce la presenza di Foligno l’abbazia di Sassovivo, chiostro dalle cadenze divine, e la città dei Trinci con il palazzo dei signori è esempio di un centro che attirò schiere di esteti, sapienti, enciclopedia dell’Umanesimo umbro.

E se dici Coccolone pochi comprenderanno ma se aggiungi Montefalco allora s’allarga il sorriso: piccola e grande insieme, un ricciolo di costruzioni, Benozzo Gozzoli, la piazza e il digradare a valle, i conventi, i tesori, gli scrigni d’arte. Tutto congiura a dettare l’incantesimo.

Seduzioni infinite quando si toccano le mormoranti Fonti del Clitunno, nume benigno, famoso per gli oracoli cui si abbeverava spesso Caligola che frequentava queste parti, Bevagna compresa.
Tempietti che pretendono meditazione, acque pullulanti, allora più abbondanti delle attuali, frescura di verde, momenti di abbandono, ingresso nei confini del tempo.

Una corsa che sempre ha origini lontane. Come a Spoleto per sostare davanti all’arco (l’ingresso al foro di Spoleto) di Druso e di Germanico, grande imperatore mancato, andare alla ricerca dei bassorilievi musealizzati del ducato longobardo, delle piccole chiese della seconda ondata romanica, degli Ordini religiosi, di palazzi e teatri. E di Piazza del Duomo consacrato all’Assunta da Innocenzo III nel 1198 anno della sua ascesa al trono di Pietro e della lotta per recuperare alla Chiesa le terre occupate dai signorotti germanici. Finito? No, spicca la Rocca dell’Albornoz con i due cortili, d’Onore e delle Armi, e vicino la linea del ponte delle Torri arditissimo collegamento gigantesco su un baratro impressionante con Monteluco.

Le ninfee di Colfiorito, omaggio a Claude Monet. Foto aerea di Paolo Ficola

Maligne onde di terra hanno offeso, distrutto cancellato una bellezza altera, elevato respiro dell’animo, antiche litanie di pietra. Sant’Eutizio ridotto a scheletro disarticolato, Preci con i suoi satelliti roteanti, la magnifica Norcia, devastazione al mondo dal moncone della basilica di Benedetto e Scolastica, maestosa e semplice era, piccola e grandiosa.
Fino alla piana di Castelluccio dove con la primavera clemente si stendono tappeti di fiori, mosaici di colori, quiete tempeste fantastiche.

La natura per Raffaello, mai arcana e segreta come in Leonardo, è comunque idealizzata, formalmente perfetta, ricreata in toto.

Questo e non altro viene in mente nell’accostarsi all’occhio azzurro del Trasimeno e dunque a Gerardo Dottori, maestro del Futurismo e firmatario del manifesto dell’Aeropittura, pronto a intridere la tavolozza con il lampo fulmineo della visione, il volo della creatività nel panorama lacustre, un piccolo globo turchino, toni ondosi, alberi uguali a piccole sfere mentre saettano i raggi della luce.

Ecco il breviario, il modo d’intendere l’essenza mercuriale di una terra come l’Umbria, creatura di acqua e di montagne, di vegetazione e di pietra. Un volto dai mille accenti per esser suolo di aruspici salmodianti, di razionalità e fantasie, di quadrati castelli che sono fortezze, di una povertà elevata a esistenza sacra. Tutto questo dettano le immagini aeree di Paolo Ficola che si sta avvicinando all’acropoli.

Non prima di aver gettato un’occhiata a Città della Pieve, serrata attorno al duomo e improvvisamente protesa in vie e viuzze che sembrano braccia pronte a sfiorare il passante. Cultura e ricordi, armonie e sigilli del Perugino che qui tornava per rinverdire ricordi, respirare profumi di casa.

Una collana di gemme, ancora e sempre: la bella Corciano, linda di terse murature contro fondali acquamarina, Montelabate, insieme di sassi colorati sulla spiaggia dei secoli, la pianura, larga, densa: laggiù i profili delle cime bianche, qua paesini e frazioni, tra una prateria di verde, geometrie sghembe, quasi tratti di matita di un bambino alle prese con le prime lettere.

La Fontana Maggiore di Perugia. Foto aerea di Paolo Ficola

Perugia, o cara. Si allungano i rami della città che ha perso la forma di stella per l’estendersi delle periferie tant’è che il cuore è rimasto isolato, battuto dalla tramontana o inondato dal sole. Da qualunque parte si arrivi il campanile di San Pietro emerge, missile dello spirito puntato verso il cielo da previdenti monaci benedettini. Diventano un ricamo e un divertimento scorgere cose note eppure non conosciute perché possibili solo a esseri alati.

L’anello della Fontana Maggiore, i palazzi storici, tanti e serrati in abbracci, le chiese compreso san Domenico con la vetrata absidale seconda solo a quella del Duomo di Milano, la rotondità del tempio di Sant’Angelo, il convento di Monteripido caro a padre Diego Donati, incisore magistrale.

E via in una corsa che è una fuga. Contornata da mille tessere di bellezza, si staglia la Rupe di tufo che regge Orvieto, città delle mille meraviglie con i suoi fianchi di amba abissina, casalingo Walhalla, scogliera terrestre a detta di Cesare Brandi. Custodisce il riposo etrusco, le necropoli che si adagiano alla base, è un vascello pronto a remare verso mete lontane.
Il duomo è gloria, canto supremo, gotico italiano perfetto, limpido per quanto fatto di onde martellate e convulse nella Cappella di san Brizio, capolavoro del Signorelli, pareti squassanti, violente e terribili, spasimi mortali, esaltazioni sublimi. Orvieto è effervescente e bagnata di silenzio, sapore di Medioevo e solennità rinascimentali, cuore segreto che batte da sempre e vuole essere solo scoperto.

Mimmo Coletti

Foto: Paolo Ficola | ArsColorPg.com