Unica Umbria

Storia & Storie

L’Umbria bella e sicura di Gerardo Dottori

Diario di viaggio, Luoghi
Autore: Duranti, Massimo

Alcuni giorni fa su Facebook è comparso un post dedicato alla rinascita dell’Umbria, dopo il sonno agitato indotto dal coronavirus, con protagonista un bel dipinto di Gerardo Dottori e una ragazza, presa di spalle, che lo sta ammirando.

Aurora umbra, il trittico di Gerardo Dottori, Museo del 900, Milano

La didascalia recita: “Umbria mia, bella e sicura.

Aurora umbra, del 1931, il quadro riprodotto, è un trittico del Museo del ‘900 di Milano: un canto all’«Umbria che predilige il cerchio la curva dolce le ascese che suggeriscono la spirale», come scrisse il nostro futurista sul Manifesto umbro dell’aeropittura del 1941.

Ma la sequenza degli inni pittorici del maggiore artista perugino del Novecento (e non solo) alla nostra regione è lunga e ricca: Umbria primavera, Umbria vergine, Umbria, Aurora sull’Umbria, Visitate l’Umbria (bozzetto di un manifesto degli anni Cinquanta a scopo turistico che potrebbe essere felicemente riutilizzato) e un’altra quindicina di lavori su questo tema.

Visitate l’Umbria, Gerardo Dottori (bozzetto per un manifesto turistico)

C’è un profondo legame fra il futurista perugino e l’Umbria delle colline dalla curva dolce, dei laghi, delle sinuosità dei fiumi, delle prospettive dilatate, distorte e profonde, di «forme eleganti e vigorose di montagne originalissime pianure e colline fiumi laghi ammirevoli», per usare altre acute espressioni dell’artista.

Col paesaggio, o da sole, compaiono anche costruzioni di volumi che si arroccano  irregolari verso l’alto a comporre ideali borghi turriti immersi nel verde: sono le architetture medievali delle nostre e piccole cittadine.

C’è sempre stato, in effetti, un legame di necessità fra Dottori e la sua terra.

Il suo linguaggio pittorico, fin dagli esordi nell’avanguardia artistica dei primi anni Dieci, era fondato su una poetica originalissima, che individuava un dinamismo intrinseco della natura che “adattava” il dinamismo e l’ebbrezza della velocità delle macchine esaltate dal Futurismo all’ambiente naturale.

Dall’estero gli autorevoli Daily Telegraph e Fortune annunciano che l’Umbria è ormai uscita dal virus ed è una delle mete da scoprire da parte di un turismo di ricerca, raffinato, che ama il paesaggio intenso, una messe di beni culturali, una certa atmosfera e il buon cibo.

Questo “turismo di ricerca” potrà scoprire a Perugia anche un piccolo museo dedicato alle opere di Gerardo Dottori, futurista doc, allestito dal Comune di Perugia a Palazzo della Penna, nei cui spazi dedicati al moderno e al contemporaneo e a mostre temporanee,  ci sono anche le “Lavagne” di J. Beuys.

Gerardo Dottori, Ascending Forms (or Ascending Forces), 1930, Oil on canvas, 188 x 143.5 cm, Comune di Perugia

Dottori nacque nel penultimo decennio dell’800 e morì nella sua città più di quarant’anni fa. Per le nuove generazioni la sua arte è spesso una scoperta, considerato poi che a scuola è davvero poco studiato.

Vale allora la pena rispolverarne un po’ la vicenda artistica, contestualizzandola con la stagione esaltante dell’avanguardia artistica italiana più significativa del ‘900.

Dottori, oltre che pittore, è stato abilissimo muralista, scenografo, ceramista, poeta, scrittore, critico d’arte, giornalista, docente e direttore dell’Accademia di Belle Arti.

Il Futurismo a Perugia e in Umbria nasce nei primi anni Dieci del ‘900, e nel 1914 il gruppo umbro viene battezzato da F.T. Marinetti  con una memorabile e contestata Serata futurista al Politeama Turreno.

La guerra fermò tutto e alla ripresa Dottori, tornato malconcio dal fronte, nel 1920 esordì a Roma, da Bragaglia, presentato da Marinetti, ed ebbe subito riconoscimenti a livello nazionale e internazionale (T. Viala, Tristan Sauvage,  Rosa Clough, poi Ballo, Calvesi, Crispolti). Le sue opere girarono presto l’Europa e il Mondo (nel 1927 espone a New York con De Chirico e pochi altri italiani).

Uno dei temi più cari a Dottori è sempre stato il paesaggio, quello urbano e quello naturale, agli esordi figurativi, simbolisti, divisionisti e poi ricchi di dinamismi della natura. Paesaggio visto aeropittoricamente dall’alto e, infine, sublimato e stemperato dalle dilatazioni e distorsioni.

Nella maturità ecco le città medievali arroccate, vere o trasfigurate e il paesaggio, vero o trasfigurato, visto dinamicamente dall’alto, dunque aeropittorico, come nel capolavoro Incendio-città del 1925.

Questo nuovo linguaggio matura in Dottori verso la metà degli anni Venti, spontaneamente come svolgimento del Futurismo, evoluzione dei postulati futuristi. In esso coniuga il macchinismo dell’aereo con le visioni del paesaggio dall’alto e in movimento, a fish eye, un paesaggio talvolta  lirico e intriso di misticismo.

Dottori, Volo su paese

La concezione dell’aeropittura di Dottori ha una forte connotazione culturale, oltre che pittorica, ma non certo sognata, avendo più volte fatto esperienze di volo, che riassunse nel 1931 nella affermazione «aeropittura non significa tanto immettere nella pittura elementi figurativi nuovi …, quanto dare ai pittori nuove e più vaste possibilità di ispirazione … volare significa aprire e areare la fantasia».

Storicamente la prima intuizione teorica dell’aeropittura è di Mino Somenzi e Gerardo Dottori, che la elaborarono nel 1928. Etha Fles  narra nel 1934 l’episodio di questo inizio dopo il volo di Dottori e Somenzi: «Un giorno un suo amico lo prese con sé in un aeroplano e in quella gita gli furono aperti nuovi orizzonti; un modo di osservare e di pensare fino ad allora mai conosciuti gli allarga la sua ammirazione sul mondo».

Marinetti recepì questa evoluzione pubblicando nel 1931 il Manifesto dell’Aeropittura con le firme di Balla, Benedetta, Depero, Prampolini, Dottori, Somenezi e Tato.

Il dipinto simbolo della sintesi dottoriana futurista, il suo capolavoro, è Trittico della velocità del 1925-1927, che sublima liricamente il rapporto macchina-ambiente nelle spericolate prospettive dall’alto, e nelle armonie cromatiche.

Nel 1942 (l’anno della mostra personale alla Biennale di Venezia)  Dottori pubblica la sua dichiarazione di poetica La mia pittura futurista umbra, meglio noto come Manifesto umbro dell’aeropittura. L’incipit è dell’ «appassionato umbro che adora la sua terra» il quale ha «voluto creare un’aeropittura umbra futurista» stilizzando, spazializzando, spiritualizzando e divinizzando la natura, concretizzando plasticamente la spiritualizzazione, esprimendo plasticamente la velocità.

Dottori, Primavera umbra, 1923

La sua aspirazione era quella di far diventare il paesaggio terrestre paradiso isolandolo fuori tempo-spazio e nutrendolo di cielo, facendo il contrario della pittura rinascimentale umbra che il cielo lo trascinava in terra.

Nel contesto della stagione aeropittorica, non va dimenticata l’attenzione per l’Arte sacra, che diventerà Manifesto dell’Arte Sacra Futurista nel 1931, tematica della quale Dottori è stato protagonista, come scrive Marinetti nella premessa al manifesto definendolo il «primo futurista ad aver rinnovato l’arte sacra».

Finita la guerra e scomparso Marinetti nel 1944, data che segna storicamente la fine del Futurismo, Dottori dal punto di vista artistico non si piega alla nuova avanguardia artistica, ma distilla e distende il linguaggio aeropittorico e lo stempera dagli ardori aeropittorici per costruire luoghi della serenità dello spirito, soprattutto idealizzati e trasfigurati, ma sempre nel segno della modernità.

Gerardo Dottori, Virginal Umbria, 1949, Tempera on faesite, 122 x 135 cm, Collezione Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia

È il “Nuovo paesaggio moderno”, espressione coniata da Guido Ballo per intendere il complesso della pittura dottoriana di paesaggio di quella stagione, ancora più  lirica, con accenti di misticismo.

La fortuna critica di Dottori è raccolta in una sterminata bibliografia e le mostre personali, le partecipazioni a collettive e rassegne in un elenco di decine di pagine, tutte inserite nel Catalogo generale ragionato, edito nel 2006 da Fabrizio Fabbri Editore.

Per aver un’idea delle mostre, basti ricordare che il futurista perugino ha partecipato a una dozzina di Biennali di Venezia, a partire dal 1924, alle Quadriennali di Roma dalla prima edizione del 1931 e nelle successive quattro edizioni.

Negli anni Trenta, con i futuristi aveva esposto nelle maggiori  capitali europee come Parigi e  Berlino, poi  Istanbul.

Post mortem, dopo l’antologica ordinata alla Rocca Paolina di Perugia nel 1997 e la personale alla New York University dell’anno successivo, sono da ricordare, fra le tante, le presenze degli ultimi anni:

  • nel 2014 al Guggenheim Museum di New York in  Italian Futurism 1909-1944;
  • nello stesso 2014 alla Estorick Collection of Modern Italian Art nell’ampia antologica Gerardo Dottori. The futurism wiev;
  • nel 2015  alla mostra ufficiale di EXPO’ 2015  alla Triennale di Milano Arts & Foods;
  • nel 2018 alla Fondazione Prada di Milano in Post Zang tumb tuuum.Art Life Politics. Italia 1918-1943.

Alla memoria, salvaguardia e promozione della figura e dell’opera di Gerardo Dottori provvede da anni l’Associazione culturale Archivi Gerardo Dottori. 

Massimo Duranti