Unica Umbria

Storia & Storie

Orvieto, i due volti della meraviglia

Diario di viaggio, Luoghi
Autore: Fioravanti, Federico

Orvieto appare da lontano, in tutta la sua magnificenza: una nave di pietra che emerge nel mare calmo della nebbia mattutina.

Orvieto nella nebbia del mattino

La visione del Duomo, scintillante cattedrale, è esaltata dalla luce del sole che illumina la facciata: un merletto di pietra intessuto di bassorilievi e mosaici dorati. La chiesa è un capolavoro dell’architettura gotica europea. È stata cesellata con pazienza da generazioni di artisti, lungo tre secoli di lavori, dal 1290 al 1591.

Il grande edificio va ammirato a lungo, dalla piazza. Ma all’interno, cela altri tesori: ori, smalti, gruppi marmorei e raffinati dipinti, tra i quali spicca il “Giudizio Universale”, il grande affresco di Luca Signorelli, risalente ai primi anni del 1500, una delle testimonianze più famose della pittura italiana. L’imponente costruzione domina la città e l’intreccio variopinto di case, vicoli, archi, torri e palazzi, muti testimoni di quasi trenta secoli di storia.

Le vie di Orvieto sono libri di pietra che si possono sfogliare a piccoli passi. Raccontano millenarie vicende, dal favoloso e perduto popolo degli Umbri, il più antico d’Italia, fino agli Etruschi che sulla Rupe hanno lasciato straordinarie opere d’arte. E poi i Romani, il Medioevo, il Rinascimento, l’Età Moderna.

C’è da perdersi tra tanta bellezza. Ma per il turista niente è come appare a prima vista. Orvieto è una città doppia: sulla sommità dell’acropoli, l’intrico di vie, negozi e botteghe artigiane si scioglie all’improvviso davanti al largo panorama della valle che abbraccia la Rupe. Ma sotto le strade, il viaggiatore curioso può scoprire un’altra città, scavata nei secoli dai popoli che hanno vissuto in questo lembo d’Italia. Centinaia di grotte, silos, camminamenti, cantine, cunicoli e magazzini scorrono sotto le pittoresche case del centro storico.

La galleria principale del percorso di Orvieto Sotterranea, fotografia di D. Benedetti

Un labirinto che si può imboccare anche per caso, dopo aver consumato un cappuccino dentro una piccola ed elegante pasticceria. In Via della Pace, c’è una storia da raccontare. Quella di Adriano Di Mario, di giorno maestro dolciario e di notte archeologo.

Tutto cominciò nel 1972, durante i lavori per ristrutturare i locali del laboratorio dove ancora oggi si confezionano le dolci specialità dell’Orvietano.

Un colpo di piccone, aprì la “porta” di un pozzo interrato, uno dei tanti conficcati negli strati della torre tufacea di Orvieto. Adriano, insieme ad un amico muratore, iniziò a ripulire quel budello di pietra. Dal pozzo arrivò ad una prima grotta. Poi a un’altra. Poi a un’altra ancora. Decenni di scavi certosini, giorno dopo giorno. Quintali di terra rimossa e portata via a mano, con secchi e carrucole.

Il risultato, cinquanta anni dopo è stupefacente: la cantina della pasticceria è un labirinto di alte grotte di tufo, distribuite su tre livelli. Il più basso arriva a 18 metri sotto il manto stradale e tocca il letto sabbioso di un antico fiume: alle pareti sporgono i tronchi fossili di alberi di 240mila anni fa. Lungo gli scalini, lo sguardo incrocia butti medievali, cisterne costruite nel Rinascimento, travertini etruschi e piccoli silos che servivano a conservare il farro, il vino e i formaggi. Nel saliscendi, tra i bassorilievi e il fascino di sculture create in anni recenti, altri sentieri si diramano alle biforcazioni del labirinto: umidi cunicoli scavati a mano dagli etruschi, come vene pulsanti nel corpo antico dell’affascinante città.

Il Pozzo di San Patrizio

L’ “Orvieto underground” si può esplorare tutti i giorni dell’anno, grazie a visite guidate che partono proprio dalla piazza che sorge davanti al Duomo.

Il simbolo stesso di quest’altra città sommersa, è una costruzione unica: il Pozzo di San Patrizio. L’opera, di alta ingegneria idraulica, fu progettata da Antonio da Sangallo il Giovane nel 1527, su incarico del Papa Clemente VII, che si era rifugiato ad Orvieto per sfuggire alle truppe di Carlo V, allora a capo di un impero su cui “non tramontava mai il sole”. L’imperatore aveva ordinato ai suoi soldati di mettere Roma a ferro e fuoco e il pontefice era stato costretto alla fuga.

Il celebre pozzo, profondo 54 metri e largo 13, serviva ad assicurare l’acqua all’intera città anche in caso di un assedio. Visitarlo, ancora oggi, è come entrare in un quadro vivente di Escher. Due rampe di scale, illuminate da 72 finestroni, si inabissano nel terreno, avvolte tra loro come la doppia elica del Dna: alcuni gradini servono alla discesa, gli altri per tornare alla superficie.

Stampa d’epoca del Pozzo di San Patrizio

Il pozzo rappresenta anche un simbolico viaggio nel buio, verso la profondità della terra, alla ricerca dell’acqua, fonte primigenia della vita. Fu scavato direttamente nella nuda terra. Gli uomini e gli animali da soma potevano scendere e risalire, di continuo, senza intralcio, lungo le scale a chiocciola che hanno la particolarità di non incontrarsi mai.

L’opera costò così grande fatica da far nascere anche un proverbio. Quando si vuole indicare un lavoro estenuante, in Italia si dice: “È come scavare il Pozzo di San Patrizio”.

Per assaggiare il famoso vino di Orvieto non c’è invece bisogno di nessuna fatica. Il territorio pullula di cantine ed enoteche. Le colline che disegnano il fondovalle, ai piedi della Rupe, producono un vino che era celebre già nell’antichità. Tanto che duemila anni fa, i popoli che vivevano intorno al Mediterraneo, conoscevano Orvieto con il favoloso nome di Oinarea, “la città dove scorre il vino”.

Vini speciali, famosi in tutto il mondo ancora oggi. È possibile conoscerli ed apprezzarli nell’Enoteca Regionale dell’Umbria che ha sede nel Palazzo del Gusto, nel cuore del centro storico. Nelle sue fresche cantine, scavate nel tufo, riposano le bottiglie di tutte le varietà prodotte in Umbria: il celebre Orvieto bianco, rosso o muffato, i vini di Torgiano, del Trasimeno, dell’Amerino e il Sagrantino di Montefalco, un nettare rosso, corposo, di grande forza e struttura.

Al Palazzo del Gusto è possibile vivere, anche solo per due giorni, una esperienza originale: un corso per conoscere i segreti della cucina umbra. Esposti sulle bancarelle, fanno bella mostra i prodotti tipici del territorio: l’olio, i tartufi, i funghi, il formaggio, la pasta fatta a mano, i maccheroni dolci, la minestra di pane, il baccalà arrostito, i ceci lessati, le pizze di Pasqua. E la sontuosa norcineria, arricchita dalle “coppiette”, strisce di carne di maiale magro insaporite con il peperoncino.

Imperdibile la “lumachella”, un pane a forma di spirale, condito con formaggio, pepe, prosciutto e pancetta. La ricca merenda va conclusa con un assaggio particolare: quello della pera di Monteleone, la “bistecca dei poveri”, un frutto salvato dall’estinzione, dalla corta forma conica. I contadini consigliano di consumarla cotta, insieme alle castagne oppure di infornarla, come una torta, dopo averla tagliata a fettine.

Il Duomo di Orvieto, fotografia di Pavel Satrapa

L’assaggio non si dimentica. Come l’Umbria. E come Orvieto, la città dove anche la gastronomia raggiunge le vette più alte dell’arte.

Federico Fioravanti